Furono gli agrigentini, nel terzo secolo avanti Cristo, a realizzare il teatro di Akragas, struttura con un diametro di almeno cento metri. Gli archeologi ne sono certi e lo hanno detto a chiare lettere, senza girarci troppo attorno, stamani nel corso di una conferenza stampa nelle Case Sanfilippo (a cento metri dal tempio di Giunone), tenuta a meno di un mese dall’inizio degli scavi.
Il teatro sarebbe di epoca ellenistica, dunque a realizzarlo non sarebbero stati i greci che fondarono Akragas o i romani che la conquistarono successivamente, ma una popolazione intermedia, che visse, prosperò e fece grande l’antica Agrigento, tra il terzo secolo avanti Cristo e i trecento anni successivi all’avvento di Gesù. Per l’archeologo Luigi Caliò è «importante datare con precisione i materiali che abbiamo a disposizione, per capire se risalgono alla metà, alla seconda metà o alla fine del terzo secolo avanti Cristo. A seconda dell’epoca di costruzione, infatti, la prospettiva cambia decisamente».
Nel corso della conferenza stampa si è parlato della realizzazione ad opera degli agrigentini «nel senso che la struttura si deve – confermano gli archeologi – a una popolazione che vive immersa in una cultura cosmopolita e che, pur nella crisi e nelle difficoltà di un periodo incerto, si riconosce nelle proprie tradizioni architettoniche». Insomma gli indigeni, malgrado vivessero in un’età di mezzo, compresa tra il tramonto dell’età greca e l’alba di quella romana, forse proprio per esorcizzare un futuro incerto, dotarono la loro già splendida città di un teatro, realizzato tra l’altro in un punto panoramico, con alle spalle Akragas a fare da quinta naturale.
Il ritrovamento del teatro antico di Agrigento sprona chi si occupa di curare il parco a cercare i fondi necessari per completare gli scavi. Quello condotto finora, infatti, è solo il primo step di un lavoro che può durare a lungo. Considerata l’eccezionalità della scoperta è difficile immaginare che non si trovino i soldi necessari per andare avanti. «Continueremo a scavare – conferma Bernardo Campo, commissario del Parco archeologico – perché dobbiamo portare fuori ciò che poi che deve essere musealizzato. E questo per noi è un obiettivo da perseguire».
Confermata la prima ipotesi, quella avanzata poco più di un mese fa, secondo la quale il teatro sorgeva in una delle parti più belle dell’antica Akragas. Gli archeologi ritengono, infatti, che la struttura costituisce la quinta monumentale grazie alla quale l’agorà si affacciava nella Valle dei Templi. Ma c’è di più: nel corso degli scavi che hanno portato alla luce la cavea, sono state rinvenute due camere che, si pensa, potessero costituire il collegamento tra la piazza monumentale ed il teatro. Insomma, gli agrigentini dell’epoca non avevano trascurato alcun dettaglio.
Caliò si è soffermato sulla struttura del teatro, con riguardo perlomeno a quanto emerge dagli scavi eseguiti finora. «L’impianto della piazza, così per come l’abbiamo isolata, – spiega l’archeologo, che insegna all’università di Catania – se poi verrà confermato dalle ricerche, è sui 50mila metri quadri. Morgantina è sui 30mila metri quadri. L’agorà di Atene è su circa 52mila metri quadri. Quindi siamo a livello delle grandi città ellenistiche. L’Agrigento ellenista, nonostante l’arrivo dei romani, sembra piuttosto rivitalizzata in questa fase. Sembra una città che ha un’economia florida e riesce ad avere delle costruzioni importanti, con una monumentalità di un certo tipo».
E poi Caliò non ha trascurato la parte relativa alla distruzione dell’imponente struttura, che sarebbe avvenuta nel terzo secolo dopo Cristo. «A una lettura superficiale dei materiali che abbiamo trovato, datiamo l’evento, in linea di massima, al terzo secolo dopo Cristo. I materiali indicano non una età tardo antica, ma un’età medio o tardo imperiale. Questo è un elemento interessante, gli edifici che si collocano sul teatro è vero che segnano la distruzione della cavea, ma sono altrettanto monumentali. Sono strutture relativamente tarde, che noi datiamo entro il terzo secolo dopo Cristo, che ci raccontano una città che distrugge alcuni edifici, ma non rinuncia alla monumentalità. Si tratta di un edificio con muri di un metro e venti, un metro e trenta di spessore di una certa importanza».
Grande soddisfazione è stata espressa da Giuseppe Parello, direttore del Parco archeologico della Valle dei Templi. «Vogliamo rendere il patrimonio culturale alla portata di tutti, fornendo una intermediazione culturale e linguistica, perché questo patrimonio possa essere compreso da tutti e da tutti amato e difeso. Per questo ci inorgoglisce il fatto che tantissime scolaresche visitano il parco».
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