Attraverso le banche dati dei centri di assistenza agricola Caa verificavano quali terreni in tutta la Sicilia non avessero mai fatto richiesta dei contributi erogati a fondo perduto dall’Unione europea. E con l’aiuto di una serie di prestanome, ripagati con mille euro circa ciascuno, riuscivano a incamerare i fondi senza nessun controllo sulla veridicità degli atti di proprietà presentati ai funzionari dei Caa complici. Tra i terreni «c’erano infatti anche aree appartenenti alla Diocesi di Agrigento, al Consorzio Sviluppo Industriale di Gela e al Comune di Termini Imerese», come ha spiegato questa mattina in conferenza stampa nel comando della guardia di Finanza di Catania il procuratore capo di Caltagirone, Giuseppe Verzera, illustrando l’operazione denominata Reaping
Il meccanismo utilizzato per le truffe è definito «semplice quanto difficile da scoprire», dal magistrato titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore di Caltagirone Ilaria Corda: la guardia di Finanza «ha analizzato nel corso di un anno le denunce atomistiche di ignari proprietari su centinaia di terreni sui quali erano già stati erogati i fondi a loro insaputa, ricostruendo il meccanismo. Tutto passava per l’accoglimento dei documenti di proprietà o di locazione dei terreni, spesso non registrati o palesemente falsificati». Su mandato della procura i finanzieri hanno quindi eseguito il sequestro di beni per 2,7 milioni di euro. Si tratta di immobili, terreni, autoveicoli, quote societarie e denaro per garantire il recupero delle somme indebitamente percepite dagli indagati.
La cifra è comunque «considerata solo una parte dei fondi Pac – la politica agricola comunitaria – incamerati in modo fraudolento. Stiamiamo circa un quarto del reale ammontare del totale della truffa», spiega il capitano della Gdf di Caltagirone Michele Solazzo, che ha condotto le indagini. Questa mattina sono state eseguite anche nove esecuzioni di ordini di custodia cautelare, tre dei quali verso i titolari dei Caa che hanno emesso le false certificazioni all’Ue. Si tratta di Gianluca Faranda, 33enne, del 31enne Davide Faranda, e del 29enne Davide Ivan Faranda, tutti e tre di Tortorici, di Giuseppe Natale Spasaro, 60enne di Galati Mamertino, di Orazio Acciarito, 44 enne di Lentini e titolare di un Caa a Caltagirone, di Mario Oliva, 51 anni di Vizzini, di Maria Rosita Conti Taguali, 37enne di Caltagirone, di Liliana Giuseppina La Ferlita, 32enne di Vizzini titolare del Caa di Lentini, e di Sebastiano Licciardino, 65enne di Militello in Val di Catania e anche lui di un centro di assistenza agricola a Catania.
Gli indagati in totale sono 57, alcuni dei quali legati con legami di parentela ad esponenti della criminalità organizzata. E’ il caso di maria Rosita Conti Taguali, legata da legami di parentale all’omonimo clan di Tortorici insieme al marito Aurelio Salvatore Faranda, già arrestato nella prima parte dell’operazione odierna, denominata Terra bruciata e conclusa a maggio del 2014 con 13 ordini di custodia cautelare e sequestri da un milione e mezzo di euro sempre per lo stesso tipo di truffa sui fondi agricoli. Giuseppina La Ferlita è invece la compagna di Salvatore Scinardo, il cui fratello Mario è stato arrestato in una operazione del 2014 della Dda di Messina in quanto prestanome di Sebastiano Rampulla di Capizzi. Suo fratello, Pietro Rampulla è stato condannato all’ergastolo per aver procurato l’esplosivo usato nella strage di Capaci in cui il 22 maggio del 1992 morirono i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.
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