È stata esaminata martedì mattina dal giudice per l’udienza preliminare Giovanni Cariolo la richiesta di rinvio a giudizio, avanzata dal sostituto procuratore Andrea Bonomo, per i presunti soggetti legati al clan Santangelo-Taccuni, arrestati lo scorso 30 gennaio dalla polizia nell’ambito dell’operazione Adranos. Il blitz – 33 ordini di cattura – ha di fatto smantellato l’organizzazione criminale adranita collegata ai santapaoliani di Catania. Quasi tutti gli arrestati vanno al rito abbreviato: udienza fissata per il prossimo 10 ottobre. Saranno giudicati col rito ordinario, invece, Alfredo Pinzone e Luigi Leocata; quest’ultimo, assieme a Salvatore Piccolo, aveva chiesto, nell’udienza preliminare dello scorso 4 luglio, il patteggiamento. Richiesta esaminata lo scorso 13 luglio dal gup Giancarlo Cascino, il quale però non ha accolto la proposta.
Tra gli imputati, oltre al boss Alfio Santangelo, anche Nicola Mancuso, che già sta scontando una condanna per droga, l’uomo accusato di essere uno degli autori dell’omicidio di Valentina Salamone, la ragazza trovata impiccata in una villetta di Adrano e con cui Mancuso aveva una relazione sentimentale. Le indagini della magistratura etnea sono durate due anni: da settembre 2014 a quello del 2016. Le intercettazioni telefoniche e ambientali sono servite, per gli inquirenti, a ricostruire l’organigramma della cosca Santangelo Taccuni. Nel 2015 gli arresti di Antonino Quaceci e Nino Crimi avrebbero costretto il clan, storicamente diretto dal capomafia Alfio Santagelo, a riorganizzarsi: il controllo delle attività sul territorio sarebbe passato a Gianni Santangelo e a Salvatore Crimi.
Sarebbero stati questi ultimi a trarre i primi frutti dell’accordo con gli avversari di sempre: il clan Scalisi, vicini alla famiglia mafiosa dei Laudani. Il patto sarebbe stato semplice: il mercato ortofrutticolo sarebbe stato gestito da entrambe le famiglie. Pizzo agli imprenditori del settore e a quelli attivi nel commercio all’ingrosso delle carni. E poi le estorsioni a imprese adranite e rapine e furti, anche alle banche. Nell’inchiesta c’è poi un intero capitolo che si svolge a Santa Maria di Licodia, dove nel gennaio 2015 uomini della cosca sarebbero andati all’interno dell’abitazione di una donna, rubandole, dopo aver picchiato il compagno per obbligarla a parlarle, 480mila euro.
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