Due persone sono state arrestate dalla polizia di Stato – mentre un’altra è ricercata – per i reati di omicidio aggravato, detenzione e porto illegale di arma da fuoco in concorso tra loro. Secondo gli inquirenti i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare sarebbero gli autori e il mandante dell’omicidio di Maurizio Maccarrone, il 43enne di Adrano ucciso la mattina del 14 novembre 2014 in via Cassarà. Le indagini, durate poco più di due anni, sono state condotte dagli agenti della squadra mobile di Catania e dai colleghi del commissariato adranita. Che, secondo alcune fonti, avrebbero individuato anche il movente passionale del fatto di sangue.
Gli arrestati, nello specifico, sono
Antonio Magro (classe 1975) – pregiudicato detto u razzanisi del clan Morabito-Rapisarda di Paternò e detenuto in seguito agli esiti dell’operazione En Plein – e Massimo Merlo (cl. 1972), anche lui pregiudicato, vicino al clan Scalisi di Adrano. Il primo sarebbe il mandante del fatto di sangue mentre il secondo l’esecutore materiale dell’omicidio. Quest’ultimo era a bordo di uno scooter guidato da una persona attualmente ricercata dagli inquirenti. A dare impulso alle indagini sono state le dichiarazioni fornite dal collaboratore di giustizia Gaetano Di Marco, storico esponente del clan Scalisi, articolazione della famiglia Laudani.
Il pentito Di Marco avrebbe detto agli inquirente che l’omicidio di Maccarrone aveva chiaro movente passionale da individuare nella
gelosia che Magro provava nei confronti della vittima per una sua presunta relazione con una donna – già individuata dagli investigatori subito dopo il delitto – alla quale in passato il mandante era stato legato. E per questo avrebbe dato l’ordine di uccidere Maccarrone. Un’ipotesi confermata dalla comparazione della figura di Merlo con l’immagine ripresa da una telecamera del killer della vittima e da una serie di intercettazioni.
Maurizio Maccarone è stato raggiunto da cinque colpi sparati da distanza ravvicinata da una pistola calibro sette e sessantacinque, mentre si trovava vicino alla propria abitazione nel quartiere Cappellone. Un «omicidio passionale con modalità mafiosa», spiegano gli inquirenti. La vittima svolgeva la professione di infermiere e pare che quella mattina si stesse recando al proprio posto di lavoro. A pochi giorni dal fatto di sangue la pista privilegiata dagli inquirenti era stata quella passionale. Motivo per cui all’epoca il cerchio si strinse attorno alla vita privata di Maccarrone. Pare che i fermati siano due pregiudicati di Adrano, appartenenti al clan Scalisi.
Al vaglio degli inquirenti ci sono state le
immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza della zona. Filmati in cui si vedrebbero due persone che colpiscono il 43enne prima alle spalle e dopo al torace e alla testa. Una dinamica che profilava uno scenario di esecuzione in piena regola.
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