«Come magistrato do un giudizio negativo alla norma. E anche a livello di immagine». Pasquale Pacifico, sostituto procuratore etneo, è intervenuto questa mattina nella sede di Addiopizzo Catania per parlare del decreto legge n. 78 del 2013, il cosiddetto svuota carceri. «Questo tipo di provvedimenti tampone non serve a nulla, come l’indulto del 2006 – afferma il magistrato, presidente dell’Associazione nazionale magistrati etnea – Bisognerebbe riformare il principio di custodia cautelare, attuare una vera politica di edilizia carceraria e riaprire le carceri chiuse», continua Pacifico. Ma l’aspetto più preoccupante del provvedimento, convertito in legge pochi giorni fa, «è l’istituto di liberazione anticipata (aumentato da 45 a 75 giorni, ndr), che determinerà un problema concreto: secondo i calcoli effettuati da noi magistrati della Procura di Catania, ci sono quindici capi mafia etnei che potrebbero uscire grazie agli sconti di pena. Non posso dirvi i nomi, ma lo vedrete nei prossimi mesi», annuncia nel corso dell’incontro nella sede dell’associazione antiracket il pubblico ministero.
Così spiega i motivi tecnici della sua affermazione: «C’è un effetto evidentemente indiretto della norma: se un soggetto ha riportato condanna per mafia, e poi magari per rapina, queste condanne vengono normalmente poste in continuazione – spiega Pacifico – determinando una pena finale di un certo numero di anni dove il grosso della pena viene dato per gli altri reati e non per mafia». Tutto questo nonostante «nella conversione in legge del decreto, sono stati esclusi nell’articolo 4-bis taluni reati di pericolosità sociale, come quelli per mafia», come precisa l’onorevole Giuseppe Berretta del Partito Democratico, sottosegretario uscente alla Giustizia nel governo di Enrico Letta. Specificando il senso della norma, afferma «che permetterà in poco tempo di ridurre di 7mila unità la presenza nelle carceri sovraffollate, evitando le sanzioni all’Italia della Corte Europea per i diritto dell’uomo, senza usare provvedimenti di clemenza generalizzati come l’indulto e l’amnistia, provvedimenti espressamente citati dal presidente della Repubblica lo scorso 8 ottobre nel suo messaggio alle camere».
Ricostruendo la genesi della legge, Berretta parla quindi «di un provvedimento tecnicamente complesso, frutto del coinvolgimento di magistrati e in particolare del Dirigente dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tamburino, che permette di alleggerire le carceri italiane, dove attualmente sono presenti 61mila detenuti per 48mila posti». Oltre alla liberazione anticipata, il cui utilizzo viene valutato dal magistrato di sorveglianza – «che normalmente si applica non come premio, ma viene dato per la regolarità nella vita carceraria, basta che il detenuto non spacchi la testa a un secondino», come afferma Pasquale Pacifico – «sono state introdotte misure per evitare accessi di brevissima durata al carcere, come quelli per spaccio e reati commessi da stranieri», spiega Berretta. Che parla anche di un quadro generale che dovrebbe consentire «l’accelerazione del piano carceri, che porterà l’Italia ad avere 60mila posti in poco tempo, e l’uso più facile del braccialetto elettronico per gli arresti domiciliari, per cui paghiamo ormai da anni 9milioni di euro l’anno alla Telecom», afferma l’onorevole.
«Purtroppo, secondo le informazioni che vengono dall’ufficio Gip di Catania, l’uso del braccialetto elettronico non è possibile perché mancano proprio in dotazione alla Questura di Catania», ribatte Pacifico, che sul tema carceri aggiunge: «Il regime di 41bis funziona male perche applicato in troppe carceri che hanno all’interno anche sezioni ordinarie. Un collaboratore di giustizia, per 18 anni al 41bis, ha spiegato il sistema semplice per far passare i messaggi fuori: dandoli ai detenuti di sezione ordinaria, che spesso sono addetti a portare i pasti». Il magistrato, prima di concludere, lancia anche una proposta: «Per accelerare i tempi dei processi e dei carichi pendenti dei magistrati, si possono depenalizzare molti reati come quelli relativi all’edilizia che nell’80 per cento dei casi finiscono prescritti. È assurdo che per un’ingiuria e un processo per mafia la procedura e le tutele siano le stesse», conclude il presidente dell’Anm etnea.
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