Si è spento ieri sera il giornalista Camillo Pantaleone. Aveva 67 anni.
Giornalista professionista, Camillo veniva dalla scuola del giornale L’Ora di Palermo, del quale è stato cronista nei anni ’70 del secolo passato. Suo padre era stato partigiano – con il nome di “Comandante Orione” – nella brigata Osoppo in Friuli Venezia Giulia.
Camillo, oltre che cronista de L’Ora di Palermo, ha collaborato alla Rai e all’Unità.
Nel 1985 è entrato nell’ufficio stampa dell’Assemblea regionale siciliana.
Chi scrive ha avuto il piacere e l’onore di conoscere un collega simpatico e sempre disponibile.
I ricordi che mi legano a Camillo sono tanti. Ricordo uno dei miei primi servizi per “Cronache parlamentari siciliane”, il mensile dell’Ars allora diretto da Totò Parlagreco.
Era una mozione del gruppo parlamentare Pci all’Ars. Era il 1985. La mozione era così bella e interessante che io, per ringraziamento… l’avevo citata solo nelle prime righe! Su otto cartelle di servizio non avevo messo nemmeno i nomi dei tre deputati che dovevano aver lavorato sodo per mettere giù un atto ispettivo ricco di tanti spunti giornalisici.
Era una mia manchevolezza. Camillo era stato ironico:
“Così il lavoro degli altri diventa tutto tuo. Bravo…”.
Un altro ricordo è legato a un comunicato diramato dalla presidenza dell’Ars. Si era già nella seconda metà degli anni ’80. Presidente era Salvatore Lauricella.
Il comunicato era un mezzo scivolone, non si capiva se del presidente o di chi l’aveva scritto. Era stato diramato il pomeriggio del giorno prima. Ma i giornali della mattina non ne avevano dato notizia.
Me lo fece notare un parlamentare del Pci. Il L’Ora andava in edicola il pomeriggio e io riportai il comunicato per intero aggiungendovi solo due righe d’introduzione con la parola “bizzarro”.
Questa parola, a quanto pare, aveva mandato su tutte le furie il presidente Lauricella. Infatti, rientrando al giornale – nel pomeriggio – il portiere mi dice: “Vedi che ti hanno cercato dall’Ars (allora non c’erano i cellulari)”.
Ovviamente mi negavo. Fino a quando il telefonista non mi dice: “Vedi che è Camillo”.
Ovviamente rispondo.
– “Che c’è Camillo?”.
– “‘U curnutu e sdisanorato chi sii. Per curiosità: ma perché bizzarro? Ma unn’avivi atru chi fari?”.
– “Ma sai Camillo, mi è venuta ‘sta parola. Non so nemmeno io perché. Non pensavo di arrecare tutto ‘sto casino…”.
Ricordo una scena bellissima nella sala stampa dell’Ars. Già erano andati via Giovanni Cataldo, Mario Obole e Totò Parlagreco. Tutti in pensione. Era rimasto solo Camillo.
Non ricordo bene che cosa c’era. Ma ricordo una grande confusione. E ricordo che Camillo cercava di mettere un po’ d’ordine:
– “Ragazzi, un po’ di silenzio, in Sala Rossa c’è una riunione”.
La Sala Rossa di Palazzo Reale confina con la sala stampa. Ma il bisbiglìo non finiva. Anzi, aumentava.
Camillo non demordeva:
– “Colleghi, un po’ di silenzio, per favore!”.
Tutti inutile, perché nessuno gli dava retta.
Arriva un commesso e chiama Camillo. Mi trovo a un metro e ascolto la discussione. Il commesso rappresenta a Camillo un messaggio di fuoco della Sala Rossa…
Camillo si volta verso i colleghi.
– “Signori – dice con una voce un po’ su di tono – stiamo creando problemi. Non mi costringete…”.
Ma nessuno gli dà retta. Anzi, il bisbiglìo cresceva, cresceva, cresceva…
Passano cinque, sei, sette interminabili secondi: dopo di che Camillo sbotta, questa volta con un grido:
– “Oh, ma chi semu a Vucciria!”.
Nella Sala stampa cala un improvviso silenzio tombale! Tutti i presenti che, fino a quel momento non avevano nemmeno preso lontanamente in considerazione le parole di Camillo, si ammutoliscono. Tutti!
Grande Camillo, un ultimo abbraccio mio personale e di tutta la redazione di LinkSicilia.
E condoglianze a Vlady e a tutta la sua famiglia.
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