Per essere un tema che sui giornali fatica a guadagnarsi la prima pagina, se non per i disservizi e le bollette non di rado salate, gli ultimi giorni vissuti dal settore idrico nel Catanese sono stati particolarmente caldi. A tenere banco, esattamente come un anno fa ma con qualche differenza, c’è il nodo governance e, nello specifico, l’esigenza di procedere all’affidamento del servizio a un unico gestore per l’intero territorio provinciale. Una necessità che la legge ha cristallizzato già oltre tre lustri fa ma che in Sicilia pochi hanno soddisfatto. A differenza del passato, però, l’esigenza di mettersi in riga è legata al timore di dovere rinunciare ai fondi che il Pnrr destina agli investimenti delle reti idriche. Le stesse che spesso sono all’origine della perdita di ingenti quantità di acqua.
Ieri era in programma un’importante riunione dell’Assemblea territoriale idrica, l’ente di governo dell’ambito al cui tavolo siedono i sindaci dei 58 comuni della provincia. All’ordine del giorno c’era la votazione del piano industriale di Catania Acque, la spa di recente costituzione che per soci dovrebbe avere i quattro principali soggetti pubblici che in questi anni hanno avuto in mano buona parte del servizio idrico in provincia in un panorama costellato anche da tanti piccoli gestori privati: l’acese Sogip, che per il momento è l’unica ufficialmente dentro, Acoset, Sidra e Ama. Sulla carta Catania Acque, che prima di assumere le vesti di una società per azioni era stata immaginata come società consortile, dovrebbe rilevare tutti gli impianti e le reti, prendendo le redini del servizio. Una formula che inevitabilmente taglierebbe un bel po’ di posti di sottogoverno, ma a cui nessuno finora ha potuto sottrarsi conscio della pesante responsabilità che deriverebbe da una perdita dei futuri finanziamenti.
In questa storia, però, l’unione d’intenti non la fa da padrone. A opporsi all’indirizzo dell’Ati, con tanto di battaglia legale che, iniziata a metà anni Duemila, negli ultimi anni si è riaccesa, è la Sie, acronimo di Servizi idrici etnei. Il capitale della società, che gestisce il servizio in sette comuni del Calatino, è in mano pubbliche e private. La maggior parte delle quote – il 49,04 per cento – le ha il socio di minoranza Hydro Catania, a sua volta di proprietà per oltre due terzi di Csgi, consorzio che mette insieme tre società riconducibili alle famiglie Virlinzi, Zappalà e Cassar. Il restante 51 per cento di Sie è invece dell’ex Provincia di Catania e dei Comuni. Ma ad avere una partecipazione pubblica è la stessa Hydro Catania: oltre il 17 per cento delle quote della società amministrata dall’ingegnere Giovanni Rao sono infatti di Acoset (12,45), Sidra (3,93) e Ama (1,03). E quindi nel primo caso della quindicina di Comuni che finora si sono affidati alla società presieduta da Diego Di Gloria, nel secondo del Comune di Catania e, nel caso di Ama, del Comune di Paternò.
Proprio Sie, nelle ultime settimane, ha messo in guardia l’Ati dall’affidare il servizio a Catania Acque. All’origine dell’avvertimento ci sono le pretese che la società vanta dal 2005, anno in cui l’allora Consorzio Ato aveva affidato a Sie la gestione unica del servizio. In seguito a quel passaggio, però, alcuni Comuni fecero ricorso e, l’anno seguente, il Cga annullò gli atti che avevano portato alla gara per individuare il socio privato di Sie. Da allora, la partita si è trasformata in un ginepraio legale tra le aule della giustizia amministrativa e quella civile. In quest’ultima sede, sia in primo che in secondo grado, i giudici hanno dato ragione all’Ati e si attende la Cassazione. Sul fronte amministrativo, invece, lo scorso 13 dicembre sono arrivati quattro pronunciamenti del Consiglio di giustizia amministrativa su altrettanti ricorsi. Per due il collegio si è espresso in termini di inammissibilità e infondatezza, mentre per i restanti ha pronunciato sentenze non definitive in cui in parte accoglie le rimostranze di Sie. Pronunciamenti che tuttavia, secondo gli avvocati consultati dall’Ati, allo stato attuale non implicano la dichiarazione di validità dell’affidamento del 2005.
«Al fine di rispettare le scadenze imposte dalla Comunità europea e dal ministero per la Transizione ecologica – si legge nel parere legale – è opportuno proseguire nel procedimento avviato per l’affidamento al gestore unico in house (Catania Acque, ndr), non essendovi, come detto, alcuna condanna all’adempimento nei confronti del consorzio Ato o dell’Assemblea territoriale idrica o alcun provvedimento di sospensione dell’efficacia degli atti fin qui posti in essere». Gli avvertimenti di Sie, secondo cui in gioco ci sarebbero anche potenziali danni erariali, hanno tuttavia spinto parte dei sindaci, tra cui quello di Adrano Fabio Mancuso, a chiedere ieri il rinvio della riunione dell’Ati al 31 dicembre. Ovvero l’ultimo disponibile sulla carta – ma la sensazione è che in questa storia possano arrivare altre proroghe da Roma – per affidare il servizio a Catania Acque.
La tensione martedì si è diffusa anche nell’aula consiliare del Comune di Catania, dove la votazione della delibera presentata dalla giunta Pogliese per autorizzare l’ingresso di Sidra in Catania Acque è stata preceduta da un’accesa discussione. All’origine del dibattito c’è stata la diffida presentata da Sie e dal socio Hydro Catania e letta in aula dal presidente del Consiglio comunale Giuseppe Castiglione. Quest’ultimo, in un primo momento, aveva fatto presente di volere rinviare i lavori in attesa di un parere dall’avvocatura comunale. Proposito che si è scontrato con quanti – tra i quali i consiglieri Santi Bosco e Luca Sangiorgio – hanno interpretato la missiva come una forma di «condizionamento del voto» e una «minaccia al primato della politica». Alla fine il voto dell’aula – favorevole – è arrivato a mezzanotte abbondantemente superata.
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