C’è una storia che è stata scritta sui banchi di una scuola carceraria. Racconta delle paure, delle speranze, delle cadute e dei tentativi di riscatto dei giovani detenuti dell’Istituto penale minorile di Acireale. Il testo si intitola Il biglietto di Rosa Parks e fa parte della raccolta di testimonianze contenuta nel libro Così vicino alla felicità. Racconti dal carcere, edito da Rai Eri, che sarà presentato sabato 21 aprile ad Acireale, nei locali del centro culturale Pinella Musmeci della Villa Belvedere. La voce narrante della storia è quella di Antonio, 17 anni compiuti in carcere. Antonio una mattina decide di non scendere in cortile per l’ora d’aria. Così prende la penna e su un foglio di carta inizia a mettere in fila le vite di tutti i suoi compagni. Le pagine riempite da ogni detenuto si sommano sul suo banco, le storie vengono fuori da sole.
«Non faccio nulla e mi sento stanco, voglio dormire e non ho sonno, apro la finestra e il mio pezzo di cielo resta immobile», scrive un ragazzo. «Scrivo per mio padre e per i suoi occhi spenti», dice un altro biglietto. «Scrivo per i miei figli, da quando sono diventato padre provo dei sentimenti che prima non conoscevo, ho paura di sbagliare e di restare solo», racconta un compagno. «Scrivo per sopravvivere», dice un altro biglietto. «Riempio il foglio per riempire il tempo – spiega un detenuto -. Anche di scarabocchi va bene, non sopporto il vuoto». Nelle stanze del carcere si tiene ogni settimana un corso di scrittura a cui partecipano quindici dei venti ragazzi dell’istituto.
I giovani, durante il laboratorio, rispondono alle domande poste dagli educatori. Raccontano della propria casa, dei propri sogni, della prima volta che si sono innamorati. Chi in italiano, chi in arabo e chi attraverso dei disegni. Poi tutti i racconti vengono meccanicamente assemblati e ricopiati su un’unica pagina. «Quei racconti vengono letti alla presenza di tutti – spiega Girolamo Monaco, uno dei quattro educatori dell’Ipm – Così i ragazzi si identificano ognuno nella storia dell’altro. Si rendono conto che fanno parte tutti della stessa storia». Il laboratorio permanente di scrittura nasce dieci anni fa e da quel giorno «si tiene ogni giovedì – continua Monaco –, che fuori ci sia il sole, la pioggia o la grandine, non ci rinunciamo mai». Molti ragazzi si sono appassionati alla scrittura, così finita l’ora di lezione, in tanti il laboratorio se lo portano in cella. «La scuola permanente di scrittura nasce come spazio di umanità dentro a quelle mura, è un momento per potersi raccontare – spiega l’educatore -. La partecipazione è libera, ma se scegli di essere presente devi esserci davvero, devi metterti in gioco. Ci siamo resi conto che la quotidianità di questa esperienza allenta le tensioni tra i ragazzi».
Dentro a questa storia scritta a tante mani ci sono le vite di Giovanni, Bakary, Momodou, Davide, Salvatore, Ibrahim, Carmelo e molti altri. «Scrivere non ha senso, sono chiuso qui e quello che penso non interessa a nessuno, nessuno mi ascolta», si legge su un foglio. «Io scrivo per chiedere scusa ai miei fratelli, perché non li ho salutati quando sono partito dalla Libia», dice un altro. «Non volevo attraversare il deserto e guidare un vecchio gommone – racconta uno dei giovani -, non volevo veder morire i miei compagni affogati. Volevo decidere del mio futuro, volevo diventare un calciatore famoso come Balotelli. Ma da qui il futuro non si vede».
«Nessuno lo direbbe – continua Monaco -. Scrivono lettere, e tra queste mura c’è un grandissimo viavai di carta e francobolli. Quello però rimane materiale privato, per questo è nata l’idea di far comunicare tra loro i giovani, di aiutarli a condividere le loro storie». Il racconto scritto dai giovani detenuti ha vinto il primo premio al concorso Goliarda Sapienza, nel 2016. «Questo ha contribuito a far sentire ai ragazzi che il loro lavoro può essere apprezzato – spiega l’educatore -. Scrivere la loro storia li aiuta a capire il valore della persona». Alla presentazione del libro, organizzata grazie al sostegno dell’associazione Vie traverse, saranno presenti anche quattro dei giovani autori e Carmela Leo, direttrice dell’Istituto penale minorile. «Spesso si crea un immaginario che porta con sé dei pregiudizi – spiega Leo a MeridioNews – Ma noi i ragazzi li abbiamo accanto e conosciamo il valore del loro mondo interiore. Non sono l’equivalente del reato, sono molto altro».
Dai racconti emergono la paura , il senso di ingiustizia, la fragilità e la voglia di pagare per i propri errori per poter poi ricominciare. «L’essenza del nostro compito educativo è dare ai ragazzi un’idea di futuro – conclude Girolamo Monaco -. Molti giovani entrano in queste celle da minorenni e pensano che dopo quel periodo dietro le sbarre per loro non ci sarà niente». Antonio non è sceso in cortile ma, con quel foglio tra le mani, lui e tanti altri detenuti hanno avuto la loro ora di libertà. «Oggi abbiamo parlato dell’uguaglianza, della libertà e del razzismo: sono cose che viviamo ogni giorno qui – scrive il ragazzo -. Molti sono diversi da me perché vengono da paesi africani, hanno la pelle nera e parlano una lingua che non capisco. Ma abbiamo tutti una cosa in comune: ci manca la libertà. Oggi ho conosciuto la storia di Rosa Parks – continua il detenuto -, una donna di colore che con un biglietto su un autobus ha combattuto una dura battaglia e ci ha insegnato che siamo tutti uguali. Non ci avevo mai pensato. Anche perché io i biglietti sugli autobus non li pago mai. Si sentono dei rumori. Si apre la porta della cella. Per il mio compagno è finita l’ora d’aria, per me è finita l’ora di libertà».
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