Acireale, la lunga storia del depuratore «Rischio multa di 300mila euro al giorno»

Finanziamenti, scadenze, proroghe, multe. La storia dell’inesistente depuratore consortile di Acireale, che dovrebbe servire undici comuni in provincia di Catania per un totale di 160mila abitanti, si può raccontare usando quattro parole chiave. Termini che sintetizzano un iter – burocratico e non – che va avanti da oltre vent’anni senza trovare una conclusione. E che potrebbe portare, a fine giugno, alla perdita di più di 133 milioni di fondi europei e a salatissime sanzioni comunitarie.

Era il 1991 quando la Comunità economica europea definiva le norme di comportamento che gli Stati membri avrebbero dovuto seguire per il trattamento delle acque reflue urbane. Dopo anni di deleghe e norme ricettive, nel 1999, il Governo italiano individuava gli obiettivi minimi di qualità delle acque provenienti da scarichi urbani e stabiliva che, sulla base delle indicazioni europee, entro il 31 dicembre 2000, tutti gli agglomerati cittadini con più di 15mila abitanti avrebbero dovuto dotarsi di sistemi di depurazione. Ma in Sicilia il volume di investimenti che era stato pensato, per quanto oneroso, era comunque inferiore rispetto al necessario. E nel 2004 anche il tentato aggiornamento del piano programmatico della Regione siciliana indicava una strada che, dice un documento stilato nel 2012 dall’Autorità d’ambito di Catania (Ato Acque Catania), «si è rivelata del tutto inadeguata, anche dal punto di vista della stima dei costi necessari […] con la conseguenza di dover oggi riprogrammare e rideterminare ex novo gli interventi relativi e le risorse economiche necessarie».

Passati gli anni, le scadenze si sono accumulate. Dopo una prima procedura di infrazione avviata dall’Europa nel 2004, ne è arrivata un’altra nel 2009 nei confronti dello Stato italiano. Il 5 maggio 2010, in assenza di riscontri da parte del nostro Paese, la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia dell’Ue. La quale Corte, il 19 luglio 2012, ha condannato il Belpaese per la «non conformità degli agglomerati agli obblighi previsti dalla direttiva Cee concernente il trattamento delle acque reflue urbane».

A questo punto, l’adeguamento del sistema fognario e di depurazione era necessario. E la Sicilia, con 102 Comuni in piena infrazione, seguita dalla Calabria in cui i Comuni da mettere in regola erano solo 22, era la regione su cui investire maggiori risorse. La provincia di Catania faceva da capofila: 39 erano i centri urbani con più di 15mila abitanti da rimettere in sesto.

L’intervento del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) non ha tardato ad arrivare. Nel 2012, per il solo territorio del Catanese, sono stati stanziati 610.159.460 euro. E se per tutti i Comuni del comprensorio si trattava di completare opere già avviate, di adeguare strutture già finite o di collegare le fognature dei centri abitati più piccoli alle tubature etnee che arrivano al depuratore di Pantano D’Arci, per Acireale la storia era diversa, perché il depuratore era ancora da iniziare. All’Acese spettano 133.699.570 euro per la realizzazione del mega-impianto di depurazione delle acque fognarie e per l’estensione delle reti, oltre che di Acireale, di Aci Bonaccorsi, Aci Catena, Aci Sant’Antonio, San Giovanni La Punta, San Gregorio di Catania, Santa Venerina, Trecastagni, Valverde, Viagrande e Zafferana etnea. Gli abitanti da servire, secondo i dati ufficiali, sono 163.285.

Il luogo individuato per la costruzione del depuratore, con scarico in mare, era la contrada Rocca Di Volano, poco distante dalla stazione di Acireale. Al di fuori dalla città, ma esattamente al centro tra due Sic (Siti di interesse comunitario), cioè la riserva naturale orientata della Timpa di Acireale e l’area marina protetta Isole dei Ciclopi di Aci Trezza. All’interno, inoltre, del parco archeologico Valle delle Aci, di recentissima istituzione.

«Qualcuno definisce quello del depuratore un inquinamento legalizzato», afferma Angela Foti, deputata acese del Movimento 5 stelle all’Ars e membro della commissione Ambiente e territorio di Palazzo d’Orleans. «L’acqua depurata dovrebbe avere carica batterica pari a zero, ma sarebbe piena di elementi chimici, anche nutrienti, che sversati in mare rischiano di sollecitare eccessivamente la produzione di alghe e di soffocare l’ecosistema dell’area protetta». In più, c’è il problema di eventuali guasti e stop forzati dell’impianto: «Se si dovesse fermare, in acqua arriverebbero gli scarichi non depurati di undici Comuni, cioè una melma, un disastro per qualunque ambiente, figurarsi uno di cui tutelare la biodiversità», prosegue la cittadina pentastellata. L’alzata di scudi contro la grossa struttura di depurazione è arrivata dai comitati civici delle frazioni di Rocca di Volano e Santa Maria delle Grazie. «Per fortuna, proprio nei giorni scorsi, l’area è stata perimetrata ed è entrata a far parte del parco archeologico acese, quindi il depuratore qui non si farà», afferma Giovanni Basile, uno dei fondatori del movimento dei cittadini.

Ma se è una buona notizia dal punto di vista ambientale, non si può dire lo stesso guardando al versante economico: «Bisogna presentare un progetto e iniziare i lavori entro il 30 giugno 2014 – spiega Foti – Altrimenti non soltanto si perde il finanziamento di 133 milioni di euro, ma si rischiano multe di 300 mila euro al giorno: significherebbe il commissariamento e la perdita di qualunque autonomia amministrativa».

La soluzione, secondo i comitati civici, sarebbe quella di attaccarsi al depuratore catanese di Pantano D’Arci, costruito per sopportare le acque reflue prodotte da 600mila cittadini e attualmente in uso per la metà della sua capacità. «Tecnicamente servirebbe soltanto costruire un chilometro e mezzo di tubature e collegare gli scarichi di Acireale con Catania, è perfino una cosa economica», puntualizza Roberta Ninchi, dei comitati di cittadini. Ma la Regione Sicilia si è già pronunciata contro questa opzione, e lo stesso ha fatto nei giorni scorsi l’Amministrazione etnea. «Si dovrebbero fare dei lavori sulla circonvallazione e lungo le strade principali dei Comuni limitrofi, ma non è necessario farlo, perché ci sono altre soluzioni».

Su quest’ultimo elemento, quello delle diverse possibilità, il Movimento 5 stelle si scontra nettamente con le richieste di residenti e non. «Abbiamo contattato degli esperti, abbiamo visto dei progetti – arringa Basile – se si cominciasse a pensare all’utilità delle cose e si mettesse da parte la politica si capirebbe che scaricare a Pantano D’Arci è la sola ipotesi praticabile». «La vera soluzione – sostiene, al contrario, Angela Foti – sarebbe spacchettare il consorzio di Comuni, realizzare depuratori più piccoli e affiancare al processo chimico un procedimento di fitodepurazione per mezzo delle piante». Lo scontro è diretto e la soluzione ancora lontana. Lo stesso, però, non si può dire del 30 giugno, cioè la data della prossima scadenza. Che, se non prorogata, in tre mesi costerà ai siciliani quanto una intera manovra finanziaria.

Luisa Santangelo

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