Nell’inchiesta della procura di Catania che ha travolto il sindaco di Acireale Roberto Barbagallo c’è anche il centro culturale Craft. È così che torna agli onori della cronaca lo spazio – finanziato con oltre 491mila euro di fondi europei – che, all’epoca della partecipazione al bando, era rappresentato e gestito dall’attuale moglie del primo cittadino acese. Secondo gli inquirenti, un dettaglio legato al Craft rappresenterebbe una dimostrazione della «incessante ricerca di continue nuove occasioni di guadagno dalla vendita della pubblica funzione».
Finito in manette questa mattina nell’ambito dell’operazione Sibilla, secondo i magistrati Barbagallo avrebbe usato il luogotenente della polizia municipale Nicolò Urso per intimidire i due fruttivendoli ambulanti Salvatore e Sebastiano Principato, così da convincerli a votare – alle Regionali di novembre 2017 – per l’onorevole di Sicilia futura Nicola D’Agostino, riferimento politico del sindaco della città dei cento campanili. Nel chiedere la detenzione nel carcere di piazza Lanza, però, la procura di Catania va oltre questo episodio e cita una ditta di costruzioni acese. Impresa che, nel 2015, avrebbe ricevuto un incarico da oltre 21mila euro dal Comune acese per una fornitura di tabelloni in ferro su cui affiggere i necrologi. Ma con la quale il sindaco avrebbe avuto più di un rapporto di natura privata: l’azienda avrebbe partecipato ai lavori per la costruzione dei due edifici in cui, successivamente, avrebbe trovato la sua sede proprio il Craft.
Una conversazione telefonica dopo l’altra, gli investigatori ricostruiscono il presunto scambio di «cortesie» tra il sindaco e l’imprenditore: manutenzioni in casa del sindaco o di suoi parenti (infiltrazioni d’acqua a casa della suocera) e posti di lavoro. «Glielo posso dare il tuo numero a un ragazzo?», dice il sindaco intercettato all’imprenditore edile acese. «Per il lavoro che ti sei preso. Viene in cantiere e ne parli. Se va bene, u provi. È una persona seria». In mezzo, chiaramente, la storia del Craft della frazione di Fiandaca, costruito su un terreno di proprietà della madre di Roberto Barbagallo con soldi provenienti dal Piano di sviluppo rurale.
Come raccontato da MeridioNews a giugno 2017, la genesi della struttura è da rintracciarsi nella costituzione dell’associazione che la gestirà. È il 20 aprile 2012 – l’attuale sindaco era solo consigliere comunale – e c’era la possibilità di partecipare al bando europeo relativo alla realizzazione di «infrastrutture su piccola scala per lo sviluppo degli itinerari rurali». Dieci giorni dopo, la legale rappresentante Paola Roberta Strano – all’epoca fidanzata e oggi moglie di Barbagallo – presenta la domanda di partecipazione agli uffici. A firmare la relazione tecnica, in qualità di ingegnere, è lo stesso Barbagallo. L’iter burocratico va avanti fino a rientrare tra i 34 beneficiari dei fondi. Con un contributo di 491.612 euro, poco meno rispetto alla richiesta originaria di mezzo milione. Il decreto di concessione, firmato il 23 dicembre 2013, ufficializza il via libera alla nascita del centro.
In una prima fase di questa vicenda entra in gioco anche un altro membro della famiglia Barbagallo. Nello specifico, Salvatore, il fratello del sindaco. È lui, nella veste di dirigente generale del Dipartimento regionale interventi infrastrutturali per l’agricoltura, a firmare a fine 2011 il bando poi pubblicato in Gazzetta ufficiale il 5 gennaio 2012. «Ho lasciato l’incarico il 31 dicembre 2011», diceva all’epoca l’ex dirigente regionale, escludendo eventuali elementi di incompatibilità. «Non ho istruito alcuna pratica – continuava – In famiglia ne ho sentito parlare ma, per essere chiari, io con l’associazione non c’entro niente né ho alcun tipo di contatto».
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