Le «donne dei malazzeni» raccontano la loro vita in fabbrica. E gli alunni di Aci Catena promuovono l’intitolazione di una via da dedicare alla loro memoria. Una vita vissuta tra la fabbrica e la famiglia. «Delle vere e proprie eroine», come le definisce la professoressa Rita Stivale, che l’anno scorso ha promosso un progetto insieme ad alcuni alunni dell’istituto Guglielmino intitolato, per l’appunto «Le donne dei malazzeni».
Una realtà tipica della Sicilia, che per decenni ha visto protagoniste migliaia di donne, in particolare nell’hinterland acese. Stiamo parlando delle donne operaie nei magazzini della frutta, meglio conosciuti come «malazzeni». Mentre nel resto d’Italia, alla fine degli anni ’60 esplode la protesta studentesca – e la condizione femminile è una delle rivendicazioni più pressanti – al Sud, spesso, le donne si ritrovano a faticare all’interno dei magazzini agricoli. Un fenomeno diminuito drasticamente solo pochi decenni fa, insieme al crollo del mercato degli agrumi. Forse poco approfondito fino a oggi, ma diffuso in tutta la zona della Riviera dei limoni. Ad Acireale e Aci Catena – quest’ultima si è guadagnata l’appellativo di città del limone verdello – erano numerosi i piccoli imprenditori ortofrutticoli. In questo scenario, che vedeva impegnate vere e proprie schiere di operai, le donne hanno giocato un ruolo importantissimo.
Dai racconti di alcune di loro, si apprende che le operaie venivano reclutate già da bambine, rinunciando presto all’infanzia e alla possibilità di studiare. «Ho cominciato a lavorare all’età di nove anni in un magazzino: avevo il compito di confezionare uno per uno gli agrumi – racconta Graziella a MeridioNews, oggi 70enne residente ad Aci Catena -. Nessuno che io ricordi si rifiutava di fare questo lavoro, anzi, era tanto ricercato». Parlando della propria esperienza, si sofferma poi sugli orari di lavoro, che ammette essere stati estenuanti. «La giornata iniziava alle cinque del mattino e finiva alle otto di sera, avevo un’ora libera a pranzo per la pausa – aggiunge -. Dovevamo lavorare per dare il nostro apporto alla famiglia, perché c’era di bisogno». «Un uomo – ricorda la donna – per essere ingaggiato doveva portare con sé minimo tre donne a lavorare». Graziella illustra la sua storia con un tono nostalgico, poi si sofferma sul presente. «Oggi le donne sono più emancipate, ma a quei tempi era una questione di salario, anche minimo, che veniva garantito a tutti».
A Graziella fa eco Alfina, anche lei 70enne, che nonostante il matrimonio e la famiglia è andata in pensione solo pochi anni fa. «Ho iniziato a lavorare nei magazzini quando avevo dodici anni – afferma – , da allora mi sono fermata solo dieci anni in seguito al matrimonio». Alfina arricchisce il suo racconto con raffronti tra la condizione della donna nel «malazzeni» e il presente. «Si iniziava a lavorare all’alba senza sapere quando si finiva». «Grazie ai sindacati, che in passato erano molto presenti nel magazzino, la paga è andata sempre aumentando. Nell’ultima esperienza di lavoro che ho avuto, la paga si aggirava intorno ai cinque euro l’ora per le donne e sei euro per gli uomini». Costretta a lavorare fin da piccola, poi non si è voluta più fermare. «Mia madre non aveva le possibilità di mandarmi a scuola, che ho frequentato fino alla quinta elementare – conclude -, così del lavoro ho fatto la mia ragione di vita, la mia felicità».
La scuola media Francesco Guglielmino, lo scorso anno, ha dunque allestito un’iniziativa. «Abbiamo voluto valorizzare la storia di moltissime donne». Esordisce così la professoressa Rita Stivale, l’insegnante che l’ha promossa nell’ambito di due progetti intitolati Il giardino dei giusti e delle giuste in ogni scuola e Toponomastica femminile: il primo ha l’obiettivo di approfondire la vita di un personaggio storico, piantando un albero simbolico nel giardino della scuola, il secondo mira a valorizzare il nome di una figura femminile. «Se facciamo riferimento alla toponomastica, non viene data la giusta rilevanza alle donne, come se la storia l’avessero fatta solo gli uomini», dice la professoressa. «Per questo motivo abbiamo pensato alle donne che hanno lavorato nei magazzini della frutta – aggiunge –. Figure presenti in quasi tutte le famiglie acesi e catenote, oggi nonne dei nostri bambini. Donne che lavorando hanno contribuito al reddito familiare. E, in molti casi, hanno dato la possibilità ai propri figli di studiare».
Il progetto «Le donne dei malazzeni» ha visto la partecipazione di due classi: una seconda e una terza media. La proposta dei ragazzi della Guglielmino, adesso, è stata accolta dal sindaco Nello Oliveri, che dedicherà una via nei pressi dell’attuale via Pozzo (nella parte nord della città) alle donne dei malazzeni, con una delibera approvata pochi giorni fa. Questa modifica alla toponomastica si va ad aggiungere alle altre, che porteranno i nomi di Ferlito (farmacista), don Pino Puglisi, Carlo Alberto Dalla Chiesa e Cristoforo Filetti, con quest’ultima che ha fatto molto discutere. «Un progetto meritevole, quello presentatomi dalla scuola – lo definisce il primo cittadino -, con cui rendiamo il giusto riconoscimento alla classe operaia che in passato è stata presente nel nostro territorio».
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