A proposito della rielezione di Napolitano

I grandi elettori hanno eletto Presidente della Repubblica un signore che il prossimo 29 giugno compirà 88 anni. La vecchiaia non è necessariamente l’età della saggezza; si accompagna ad un inevitabile processo di indebolimento delle energie fisiche e psichiche, fermo restando che, oltre le evidenze statistiche, ogni individuo fa storia a sé.

Una regola di buon senso vorrebbe, quindi, che, si considerassero inadatte a ricoprire incarichi istituzionali, o di direzione politica, le persone che hanno superato una certa età anagrafica. Quelle persone potranno sempre dare un contributo alla società occupandosi di altro: dedicandosi alle riflessioni teoriche, al riordino delle memorie; ma vanno liberate dal peso quotidiano di pressanti responsabilità.

Nell’Italia odierna si assiste ad una divaricazione di tendenze. In alcuni casi s’insiste nella richiesta del “nuovo”, come se fosse un valore in sé, con accenti non diversi da quelli usati dai futuristi negli anni Venti del Novecento. In altri casi si alimenta un assetto istituzionale gerontocratico, che accentua la divaricazione fra il “Palazzo” e l’opinione pubblica. Entrambe queste tendenze sono viziate da mancanza di equilibrio, ma trovare la giusta misura è appunto la cosa più difficile che ci sia.

Non mi rallegro del fatto che i grandi elettori non abbiano trovato di meglio che rieleggere il Presidente Napolitano; facendo gli opportuni scongiuri, mi viene in mente il Presidente della Repubblica tedesca von Hindenburg che aveva 84 anni quando fu rieletto per un secondo mandato, con il voto dei socialdemocratici e dei democratici tedeschi di ogni tendenza, nella speranza che potesse fare argine all’ascesa di Hitler.

Il ballottaggio presidenziale si tenne il 10 aprile 1932 e sappiamo come si sono svolti i fatti successivi.

In realtà la rielezione di Napolitano è soltanto un espediente per prendere tempo, a fronte della incapacità di far prevalere un’opzione diversa nell’attuale Parlamento frammentato.

Non ci sono parole per descrivere il disastro politico del Partito democratico. Si sapeva che quel partito era tenuto insieme soltanto da logiche di occupazione del potere; ma si sperava che dirigenti politici – i quali oltre tutto si vantano di essere “professionisti” della politica – avessero doti di mediazione e capacità manovriere. Doti e capacità che, alla resa dei conti, hanno dimostrato di non possedere.

Questa vicenda è servita a fare chiarezza fino in fondo. Per comprendere come orientarsi nel futuro.

 

Livio Ghersi

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