A Natale Crocetta ha capito che la Regione sta affondando A furia di dire sì a Renzi la Sicilia è finita in un vicolo cieco

Ci voleva l’arrivo del Santo Natale per dare la sveglia al presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta. Solo adesso si è reso conto che il suo alleato, Matteo Renzi, presidente del Consiglio dei Ministri, sta affossando la Sicilia. Certo, ancora il governatore non l’ha raccontata tutta. Ha ammesso che di tagli ai fondi regionali si può pure morire. Ha addirittura citato le risorse del Pac, il Piano di azione e coesione. Soldi destinati al Sud e regalati alle imprese del Centro Nord Italia.

Certo, ci ha pensato con un po’ di ritardo. Per venti giorni l’Anci Sicilia ha combattuto, praticamente da sola, contro l’indolenza e l’ascarismo dei parlamentari nazionali eletti in Sicilia che a Montecitorio e a palazzo Madama, con l’eccezione dei grillini e di qualche altro caso isolato, facevano i pesci dentro il barile. Per venti giorni Crocetta non ha aperto bocca. Ieri, però, ha parlato. 

Qualcosa l’ha detta. Meno, però, di quello che avrebbe dovuto dire. E che ancora deve dire. Non ha detto, per esempio, quello che ormai è chiaro da tante settimane: e cioè che la gravissima crisi finanziaria della Regione è il frutto di scelte adottate dal Governo nazionale. A cominciare dalla mancata applicazione del principio di territorialità delle imposte (come scrivo i tecnici nella relazione che accompagna il disegno di legge sul bilancio). Su questo punto il presidente Crocetta è ancora muto. Ma con la Regione che sta affondando – e che affonderà mentre lui è il presidente, a meno che non si dimetta prima – quanto prima dovrà ammettere che l’accordo scellerato siglato la scorsa primavera a Roma, proprio con il governo di Matteo Renzi, è stato un gravissimo errore. E’ l’accordo, per intendersi, che, tra le altre cose, ha postergato per quattro anni l’applicazione di una sentenza della Corte Costituzionale che riguarda proprio la territorialità delle imposte.

Su questo punto è bene essere chiari. L’applicazione di questo principio di territorialità delle imposte comporterà un’assunzione di responsabilità da parte della Regione siciliana. Vero è che nelle casse regionali potrebbero arrivare da otto a dieci miliardi di euro. Ma è altrettanto vero che la Regione dovrebbe caricarsi, per intero, quella parte delle spese della Sicilia che ancora oggi paga lo Stato: i 2,3 miliardi che Roma eroga per la nostra sanità, le spese per la scuola (gli stipendi dei docenti e del personale amministrativo), qualcosa per l’università. Quanto alla spesa sociale, ormai è ben poca cosa, se è vero che i fondi della legge nazionale n. 328 sono stati ridotti di due terzi. 

La Regione, comunque, ci guadagnerebbe. Sulla base di queste nuove entrate potrebbe colmare il deficit di cassa e di competenza che oggi rende quasi impossibile andare avanti. Deficit che non è di 2,5 miliardi. Il vero deficit di cassa va ben oltre cinque miliardi di euro, mentre il deficit di competenza, che lo schema di Bilancio preventivo 2015 in parte nasconde, è forse superiore a due miliardi di euro. 

Non sappiamo se a convincere Crocetta a convocare, ieri, una frettolosa e confusa conferenza stampa sia stata la scoppola che ha preso a Roma sull’emergenza rifiuti (il governo nazionale, per la seconda volta, ha detto no alla nomina del governatore dell’Isola commissario per la gestione emergenziale dei rifiuti: e ha detto per la seconda volta no perché, come ha spiegato ieri in una lunga nota su Facebook il docente universitario Aurelio Angelini, una delle massime autorità in questo settore, in Sicilia non c’è alcuna emergenza rifiuti, ma solo una confusione creata artatamente), o se il presidente si sia finalmente reso conto che il Bilancio 2015, nelle attuali condizioni, non può essere approvato. 

Lo stesso Crocetta, ieri, ha ammesso di aver massacrato di tagli i siciliani. Ormai, nella nostra sempre più disastrata Isola, le categorie sociali più o meno legate alla Regione rimaste senza soldi non si contano più. Nonostante le bugie che sono state raccontate sulla sanità siciliana, un dato è comunque certo: la Regione, il prossimo anno, potrebbe non avere a disposizione i sei miliardi e mezzo di euro circa che occorrono per far funzionare questo settore centrale della vita pubblica siciliana. Certo, nello schema di Bilancio 2015 lo stanziamento, sulla carta, c’è: ma sono in tanti a dubitare della materializzazione di questa somma. 

Insomma, è inutile girarci attorno: un Bilancio finanziato per oltre la metà per quattro dodicesimi non si era mai visto nella storia dell’Autonomia siciliana. E già questo è un fatto grave. Ma ancora più grave è che, per finanziare i restanti otto dodicesimi dei capitoli a legislazione vigente, si dovranno tagliare posti di lavoro: centinaia, forse migliaia di posti di lavoro. Questo perché i soldi per pagare i forestali, i precari, le Province e, in parte, anche gli stessi Comuni se li è presi Roma. 

Solo ieri Crocetta ha parlato dei mille e 200 miliardi: che non sono mancati trasferimenti dello Stato alla Regione siciliana: al contrario, sono imposte pagate dai siciliani che lo Stato si trattiene alla fonte. Sono gli accantonamenti del Bilancio regionale dei quali il nostro giornale parla da mesi: 915 milioni di euro che Roma ha trattenuto nel 2013; un miliardo e 150 milioni di euro che il governo nazionale ha trattenuto quest’anno (più i circa 200 milioni di euro degli 80 euro al mese per le categorie con un reddito inferiore a mille e 500 euro al mese); e un miliardo e 200 milioni di euro che Renzi, bontà sua, si tratterrà nel 2015, assestando un colpo definitivo alle finanze regionali. 

Il governatore non si è ancora accorto dei danni che ha provocato siglando i già citati accordi scellerati a Roma, con l’incredibile rinuncia agli effetti positivi di contenziosi in atto tra Stato e Regione. Ma si è accorto, forse, che il governo nazionale, almeno fino a questo momento, ha fatto finire il suo governo in un culo di sacco. 

Vedremo quello che succederà nei prossimi giorni.  

Giulio Ambrosetti

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