A Bagheria l’unico centro in Sicilia per uomini maltrattanti «Il primo passo è che si riconoscano come autori di violenza»

La violenza sulle donne è un problema maschile. Spesso l’accento si pone sulle vittime, su quello che dovrebbero fare, su come e quando dovrebbero denunciare. Più complicato è pensare a come agire sugli uomini che hanno fatto violenza su quelle donne. Per questo a Bagheria nel 2015 è nato un centro di ascolto, sostegno e cura per gli uomini maltrattanti che al momento è l’unico in Sicilia. «Uno spazio in cui innanzitutto gli uomini accettano la definizione di maltrattanti e di autori di violenza», ha spiegato durante la trasmissione Direttora D’aria la sociologa Anna Amoroso, coordinatrice del centro. «Dopo anni di interventi educativi e progettuali a favore delle donne vittime, abbiamo capito che bisognava andare all’origine della violenza per provare a intervenire in maniera preventiva». 

Anche perché le altre misure di prevenzione, dal divieto di avvicinamento al braccialetto elettronicosi sono spesso rivelate inefficaci. «Sono misure quasi simboliche – ha ammesso l’avvocato, criminologo e sociologo Roberto Gennaro – che vogliono dare l’idea che la giustizia si occupi di questo tema ma senza arrivare ad avere concreti effetti reali». Il problema, specie in territori di piccole dimensioni, è che anche costringendo l’uomo a indossare un braccialetto – collegato a un ricevitore che la vittima deve portare con sé – le distanze non consentirebbero azioni delle forze dell’ordine in tempi utili. Al di là dell’aspetto giuridico e repressivo, bisogna lavorare a livello sociale e culturale. 

In questi primi sei anni, sono stati un centinaio gli uomini presi in carico dal centro. «Spesso prevale il pregiudizio che si tratti di stranieri, squilibrati, uomini pericolosi o con problemi di salute mentale e, invece – ha detto la coordinatrice – ci ritroviamo davanti uomini adulti che parlano a bassa voce dei loro sentimenti, che ci cedono la parola cordialmente, che ci chiedono scusa se ci interrompono nel discorso e che si emozionano mentre raccontano le loro storie». In tutte c’è un minimo comune denominatore: «Un vissuto difficile con traumi che questi uomini si portano dietro – ha sottolineato Amoroso – Condizioni che, in ogni caso, non giustificano i loro comportamenti violenti». Ma di cui bisogna tenere conto per affrontare e tentare di risolvere la questione in modo completo partendo dall’origine delle cause. «Mi è rimasta impressa la storia di uno degli uomini più anziani che abbiamo accolto: durante una terapia di gruppo, ha raccontato di quando il padre lo legava con la cintura e lo chiudeva in una stanzetta al buio per costringerlo ad ascoltare mentre la madre veniva picchiata. E poi ha detto: “Io sono qui perché sono stanco di vedere su mia moglie le cicatrici, anche quelle che non rimangono sul corpo“». 

Ci sono uomini che sono arrivati volontariamente al centro e altri tramite il tribunale di sorveglianza per una sentenza da mettere in atto. Dopo un primo colloquio, gli operatori scelgono se indirizzarli ai laboratori di gruppo o a un percorso individuale. «In entrambi i casi, lavoriamo soprattutto sul fare prendere consapevolezza a questi uomini del fatto che esistono relazioni affettive non violente». Un primo passo che ha la capacità di indirizzare tutti i successivi e di cambiare il futuro di questi uomini e delle donne che avranno accanto. «Ed è soprattutto per questo che siamo soddisfatti di potere annunciare – ha anticipato Amoroso – una notizia che abbiamo ricevuto tre giorni fa: l’approvazione da parte del ministero per le Pari opportunità di un progetto per l’apertura di altri due centri di ascolto per uomini maltrattanti, uno a Palermo e uno a Catania. Quello a cui puntiamo però – ha concluso la sociologa – è che diventi un servizio permanente». 

Marta Silvestre

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