Il sindaco del Comune palermitano ha diffidato Mediaset salvo poi scoprire che è il cognome della protagonista. Dall'Ars la richiesta di non mandarla in onda. «La politica deve fornire strumenti per interpretarla», dice a MeridioNews Cinzia Paolillo di Da Sud
Lady Corleone, la serie che i politici siciliani vogliono bloccare «Censura oscurantista. Donne al vertice dei clan sono realtà»
C’è un sindaco che pretende che le si cambi nome e l’intera compagine dell’Assemblea regionale siciliana che chiede di bloccarne la messa in onda. Così è stata accolta dalla politica siciliana la nuova fiction di Taodue destinata a Mediaset (e in particolare a Canale5) dal titolo Lady Corleone. «Devo difendere il buon nome del mio paese e dei miei cittadini», ha affermato Nicolò Nicolosi, il primo cittadino del Comune in provincia di Palermo che ha diffidato Mediaset e Taodue a utilizzare il nome del paese. Salvo poi sentirsi rispondere dalla società che sta producendo la serie, la Clemart, che «Corleone è il cognome della famiglia dei protagonisti». E che non c’è nessun riferimento alla cittadina del Palermitano che ha dato i natali al capo dei capi Totò Riina. «La città non viene citata o rappresentata nella serie che stiamo girando – ha spiegato Massimo Martino della Clemart – È ambientata tra Milano e Palermo ed è un racconto di pura finzione».
È la storia di una ragazza – che sarà interpretata da Rosa Diletta Rossi – cresciuta in una famiglia mafiosa siciliana che si appassiona alla moda e si trasferisce a Milano. «La donna si dividerà tra sfilate e sparatorie – si legge nella presentazione – e diventerà in breve tempo Lady Corleone. Questo non le impedirà di scalare il vertice della cupola mafiosa, distruggendo chiunque si metta sulla sua strada». Ed è sulla base di questo che è arrivato un ordine del giorno, proposto dalla vicepresidente dell’Ars Angela Foti e firmato da tutti i gruppi politici all’Ars, che chiede al presidente della Regione Nello Musumeci di bloccare la messa in onda dalla fiction. «A parte che non ci riusciranno, ma poi come punto di vista politico è oscurantismo», commenta a MeridioNews Cinzia Paolillo, la vicepresidente dell’associazione Da Sud che ha studiato a fondo le questioni di genere legate alle organizzazioni criminali e che è stata curatrice del dossier Sdisonorate ed è l’autrice del libro Donne di mafia. Le quote rosa della malavita organizzata.
«L’Isola – si legge nel documento presentato all’Ars – che ha purtroppo visto nella sua storia una rilevante presenza mafiosa, ha anche conosciuto una straordinaria presenza anti-mafiosa con decine e decine di martiri ed eroi civili caduti combattendo contro la mafia. Eppure si ripeterà il cliché stereotipato che accosta Corleone alla mafia. L’ennesimo danno di immagine per la Sicilia. Il governo regionale faccia pressioni per far cambiare almeno il titolo della fiction». Una richiesta quella dei deputati che fa eco a quella del sindaco di Corleone che in una lettera ha diffidato la società ad «astenersi dall’utilizzo del nome di Corleone nel titolo della serie tv nonché a ogni suo richiamo all’interno della fiction per non essere costretti a intraprendere ulteriori azioni a tutela della nostra onorabilità e del nostro futuro». Posizioni che, però, sembrano negare il diritto alla libertà di espressione. «Senza ancora averla vista – afferma Paolillo – è difficile giudicarla e, tra l’altro, raccontata così a me sembra interessante e la guarderei riservandomi un eventuale giudizio da dare dopo e sperando che il tema possa essere stato trattato bene, da un punto di vista approfondito e critico».
Quello delle donne e della loro scalata nelle strutture verticistiche delle organizzazioni criminali è un tema che esiste nelle realtà e anche nella letteratura di diversi studi sociologici. A partire, per esempio, dal caso di Nunzia Graviano che, dopo l’arresto dei fratelli boss Giuseppe e Benedetto, aveva preso le redini della famiglia mafiosa di Brancaccio a Palermo. «E, infatti, non è una forzatura della narrazione – sottolinea l’esperta – specie se la storia viene raccontata mettendola sotto una lente critica. In ogni caso, provare a censurarla è proprio sbagliato. La politica, piuttosto – conclude Paolillo – dovrebbe essere in grado di fornire ai cittadini, specie a quelli più giovani, gli strumenti per interpretare anche narrazioni di questo tipo».