25 aprile, gli ultimi partigiani di Sicilia «La libertà è sempre in discussione»

Sono nati quasi tutti tra il 1923 e il 1924. Durante il fascismo erano appena maggiorenni e imbracciavano i fucili. Prima da militari, nell’esercito italiano. Poi, dopo l’8 settembre 1943, da partigiani della Resistenza. Adesso sono signori novantenni che, in alcuni casi, girano per le scuole e le città a raccontare la loro esperienza. «In Sicilia sono rimasti una quindicina di partigiani – spiega Domenico Stimolo dell’Anpi – Almeno quelli di cui siamo a conoscenza. Quattro a Catania, uno in più a Palermo, e pochi nel resto dell’isola». Come Roberto Trinelli, della 26esima brigata Garibaldi, l’ultimo partigiano di Enna. Una memoria, quella della Resistenza siciliana, che sta per perdere i suoi protagonisti. «È il corso della vita. Sebbene la testimonianza diretta aggiunga una dimensione emotiva, dove non arriva la memoria c’è la storia», commenta Salvo Adorno, docente di Storia contemporanea all’università di Catania.

Lontana dalle lotte partigiane, la Sicilia potrebbe sembrare un territorio poco coinvolto nella conservazione della memoria della Resistenza. «Ma si tratta di un fenomeno nazionale, senza confini geografici – spiega il docente – Piuttosto i momenti celebrativi appartengono alla sensibilità istituzionale, che dev’essere anch’essa di carattere nazionale». Una sensibilità che quest’anno sembra non mancare, tra spot in tv e il coinvolgimento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Ci sono periodi storici in cui il contesto politico rende meno sensibili a certi temi – continua Adorno – La celebrazione della Resistenza, ad esempio, era più presente negli anni ’60 piuttosto che negli anni ’50. Di recente, in alcuni passaggi dei governi Berlusconi, abbiamo assistito a un oggettivo ridimensionamento della comunicazione della Resistenza. Un oscuramento che veniva manifestato anche in modo esplicito». 

La libertà, anche quando sembra acquisita, è sempre messa in discussione

E che ha tutto a che vedere con la politica. «I partiti non sono più quelli di una volta, che avevano anche una funzione pedagogica nella formazione culturale degli italiani – spiega il professore – Oggi alcuni hanno radici lontane, parecchio lontane, nei partiti di allora; ma qualunque gruppo che si muove in un sistema democratico ha interesse a celebrare i valori della Resistenza». Che, come dimostra la storiografia, non è solo una storia di sinistra. «Penso alla riflessione di Claudio Pavone (storico e partigiano, ndr) che ha individuato tre possibili modi di vivere la Resistenza: come guerra civile tra fascisti e antifascisti, come lotta partigiana contro l’invasore e come lotta di classe. Non a caso la sua memoria è stata celebrata tanto dalla Dc, che di sinistra di certo non era, quanto dal Pci». Il discrimine, secondo il docente, è semmai nei confronti di quei partiti «che esaltano la dimensione autoritaria e totalitaria del potere. Ma si tratta di forze che non si riconoscono nei valori della libertà e dell’antifascismo».

Forze a cui, dagli anni a seguire, sarà sempre più difficile opporre i ricordi dei testimoni diretti di quegli anni. Che sono stati raccolti dall’Anpi e dagli studiosi. «Gli storici di professione hanno molto utilizzato la raccolta di memorie orali, ma bisogna tenere presente che parliamo di uno strumento da trattare con particolare attenzione – spiega Adorno – Ci sono interferenze legate al tempo e alle emozioni, ci sono interpretazioni e fatti che la memoria rimuove». Elementi da ricostruire con altre fonti, come i documenti conservati negli archivi o i libri. «La memoria non è la storia», sottolinea il docente. Ma spesso, specie tra i più giovani, ha più impatto emotivo di qualsiasi capitolo studiato. «Anche perché, quando si ascolta una testimonianza diretta, c’è la possibilità di fare domande, di confrontarsi – ammette il professore – L’importante è che si capisca che non è più vero che se viene letto nel libro di storia». 

L’obiettivo, in fondo, resta sempre lo stesso: l’acquisizione di un valore. «I ragazzi devono capire che la libertà, anche quando sembra acquisita, è sempre messa in discussione da qualcuno – conclude il docente – Altrimenti non avrebbe senso celebrare una data così importante». Sempre attuale, sebbene declinata in forme diverse di resistenza. «Oggi la dimensione della libertà va ricostruita nella garanzia dalle forme di oltraggio alle identità razziali – conclude Salvo Adorno – In questo momento, è fondamentale il riconoscimento della diversità nei processi culturali. La libertà non è soltanto la nostra, ma quella dell’uomo in quanto tale».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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