23 maggio, tra cerimonie di rito e contro-iniziative «È ora che lo Stato faccia i conti col suo passato»

Una scuola, una casina, un albero. Sono questi i luoghi in cui, oltre a quelli istituzionalmente accreditati di anno in anno, si può scegliere di andare oggi per ricordare la strage che 27 anni fa ha tolto la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti di scorta Vito Schifani, Antonino Montinaro e Rocco Dicillo. A dimostrazione del fatto che per fare memoria non serve necessariamente recarsi nei luoghi istituzionalmente riconosciuti. Dove, tra le altre cose, è particolarmente difficile non imbattersi in discorsi di rito o di pura retorica, ogni volta uguali a se stessi. La giornata di oggi parte già dalle 9 con un presidio organizzato dal Movimento studentesco dei picciotti, insieme a Potere al popolo-Palermo e al Comitato di base No Muos-Palermo davanti ai cancelli dell’industriale Vittorio Emanuele III, balzato di recente agli onori delle cronache per la vicenda della professoressa d’italiano sospesa per due settimane, Rosa Maria Dell’Aria, accusata di non aver vigilato rispetto a un video realizzato dai suoi studenti, in cui questi accostavano la promulgazione delle leggi razziali nel ’38 al decreto sicurezza voluto recentemente dal vice premier Salvini. Che proprio oggi sarà a Palermo per commemorare le vittime di Capaci, dopo aver accettato l’invito partito dalla Fondazione Falcone. Una presenza, la sua, che ha destato non poche polemiche.

Tanto che il primo appuntamento della giornata prenderà le mosse proprio da quella scuola eretta in questi giorni a simbolo di resistenza contro l’autoritarismo e unirà al ricordo del 23 maggio un messaggio chiaro e preciso per dire al ministro dell’Interno che lui oggi in città non è il benvenuto. Ma cosa c’entrano la strage di Capaci e i fatti recenti dell’industriale di Palermo? «È vero quello che diceva Falcone all’epoca e che ha ribadito oggi la sorella Maria, che le istituzioni hanno una rappresentanza pro tempore, non si identificano con le singole persone. Ma è anche vero che non si può decontestualizzare il ruolo di ciascuno dalle politiche stesse», spiega Pietro Milazzo di Potere al popolo-Palermo. «Quello che è accaduto in quest’ultimo anno e che ha come protagonista assoluto il ministro degli Interni si connota come un attacco ai diritti umani e civili – continua -. Penso al fatto di respingere i migranti e farli ritornare in Libia, un paese praticamente in mano ai trafficanti, o abbandonarli in mare al proprio destino. Penso anche agli ultimi episodi noti, dal provvedimento contro la professoressa al sequestro immotivato di alcuni striscioni di commento, senza alcun elemento di offesa diretta alla persona». Molti, infatti, a Palermo come in altre città d’Italia sono stati gli striscioni finiti nelle mani degli agenti della digos, che hanno preferito farli sparire. La maggior parte di questi esprimevano sostanzialmente contrarietà alle visite di Salvini.

«Non siamo ancora in un regime, ma queste sono tutte mosse preparatorie – torna a dire infatti Milazzo -. Tutti questi elementi messi insieme inoltre fanno sì che la venuta di Salvini a Palermo, specialmente in un giorno come questo, rappresentino, almeno per lui, una forma di iper legittimazione. Un po’ come è stato per il 25 aprile, quando ha usato l’antimafia solo come polemica. La lotta alla mafia lui non l’ha mai fatta, è stato solo 17 giorni in ufficio, poi sono stati solo spot pubblicitari e campagna elettorale, è inaccettabile. Maria Falcone era davvero tenuta a invitarlo? Forse, ma nella vita ci sono anche opportunità politica e opportunità sociale e in questo momento questo invito è fuori luogo», osserva adesso, cavalcando un interrogativo che in molti in questi giorni hanno sollevato. «L’appuntamento all’industriale non è un’iniziativa in contrapposizione a quelle ufficiali, ma un’occasione per denunciare le nefandezze di questo governo – precisa ancora -. Oggi chi dissente viene isolato, criminalizzato, picchiato, sequestrato e altro, questo non è accettabile in uno Stato democratico. Questo è un evento nazionale, quello che accadrà qua avrà enorme risalto, è il motivo per cui non vogliamo regalare a Salvini la piazza di Palermo. Per questo partiamo da un punto fisico di riferimento non casuale, l’industriale Vittorio Emanuele III, con una staffetta dalle 9 alle 16, vicina anche all’aula bunker dove ci saranno le cerimonie ufficiali».

Ma non è per tutti così. Per qualcuno, infatti, questo 23 maggio è un’occasione a prescindere per manifestare l’esigenza di fare memoria in maniera diversa. Pretendendo, ad esempio, di conoscere tutta la verità sulla strage. «La giornata in aula bunker si è istituzionalizzata sempre di più, diventando un momento da passerella, non si è mai fatto effettivamente un passo avanti rispetto alla necessità che dovrebbe essere di un paese normale di sapere cosa è successo in quegli anni. Chi sono i mandanti, chi sono i pezzi deviati?», osserva Giovanni Ferro, storico presidente regionale dell’Arci, attivo in prima linea già a cavallo delle stragi durante l’epoca della rivoluzione dei lenzuoli. «Quest’anno la stura è stata la presenza di Salvini, ma oltre a lui, l’idea è che “con le istituzioni si fa memoria” non è più sufficiente, è ora di sapere qualcosa, non si può più attendere oltre per sapere chi sia stato e perché. Non possiamo rimanere sopiti in mezzo a questo clima ormai nauseante, per questo abbiamo provato a dare una scossa, preparando un testo e dando un percorso alternativo a quello dell’aula bunker, fino all’albero Falcone, che è, nella memoria collettiva, un luogo simbolo dove chiunque singolarmente va quando vuole ricordare». La marcia fino all’albero di via Notarbartolo partirà alle 16 dall’aula bunker dell’Ucciardone.

Ma prima ci sarà un altro simbolico raduno. Quello previsto a partire dalle 10 alla cosiddetta Casina No Mafia, a Capaci, dove i boss sono rimasti appostati 27 anni fa, in attesa del passaggio delle tre Croma del giudice e della scorta. Un appuntamento, anche questo, particolarmente sentito e per il quale si prevede molta partecipazione, organizzato da Arci Palermo e Anpi Palermo. «Dopo le stragi c’era un ruolo di protagonismo delle manifestazioni, che intercettavano il sentire comune, non c’erano né parate né adunate ma un momento in cui si ribadivano senza retorica e con fermezza riflessioni su quanto era successo – ricorda oggi Ferro -. Non ci interessa lo scontro con Salvini e la polizia, vogliamo fare memoria per davvero, per questo il primo appuntamento è nel luogo dove Brusca ha schiacciato il telecomando. Uno Stato deve fare i conti con la propria storia e le proprie responsabilità, si deve scoprire cosa è successo in quegli anni e quali siano state le complicità dentro allo Stato, non mi accontento che gli unici responsabili siano Riina o la cupola mafiosa, ecco qual è il punto. Non serve il 23 maggio per dire “Salvini non sei gradito”, tanto sulla mafia non fa nulla, il problema non si pone nemmeno. La sua presenza è un ulteriore sollecito all’accensione della lampadina, ma rispetto a una questione che a prescindere è centrale, cioè che ancora non sappiamo tutta la verità».

Le contro-iniziative, insomma, di oggi, dai raduni all’industriale a quello a Capaci tentano di recuperare una reazione della società. Come quella scattata all’indomani delle stragi, nel ’92. «Certi fatti di cronaca, da Montante a Siri, ci raccontano che dell’antimafia, forse, s’è fatto davvero una professione. A scapito della ricerca della verità, che non c’è non per bravura dei vari Riina ma per una mancanza delle istituzioni – insiste Ferro -. Per questo servono ancora e di più azioni, mobilitazioni, presidi, facendo in modo che il 23 maggio non sia un’occasione per lavarsi la coscienza, la strage si può ricordare ogni giorno anche restando in silenzio, mentre giornate come quella di oggi dovrebbero diventare occasione ideale in cui fare il punto sulle indagini, sulla quella verità che ancora manca». A Capaci ci saranno anche i volontari di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, nonché i familiari del militante comunista ucciso da Cosa nostra nel ’78, che hanno subito sposato l’iniziativa. «Non potevamo non accodarci – dice infatti Giovanni Impastato -. Chi vuole durante la giornata potrà anche recarsi a Cinisi a visitare Casa Memoria, che resterà aperta per tutto il giorno a mo’ di presidio e dove oltre alla storia di Peppino oggi racconteremo anche quella di Giovanni Falcone». E lancia, poi, una provocazione: «Invito gli studenti a non partecipare ai riti ufficiali, che non significa boicottare questa giornata di memoria, tutt’altro. Partecipate piuttosto alle iniziative alternative, in cui si reclama davvero la verità su quello che è successo. Il fatto è che secondo me – osserva – bisognava essere tutti fermi e d’accordo su una linea comune, Falcone era antifascista e antirazzista, all’opposto insomma di certe presenze che sono qui oggi».

Silvia Buffa

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