Zen 2, il modus operandi della banda dello spaccio Dai luoghi di occultamento ai turni per lo smercio

«Nel fumare è buono, nel tirare solo è lariu». Massimiliano Zarcone ci tiene alla qualità della roba che propina ai suoi clienti, che cercano lui e i suoi uomini in ogni momento della giornata, dalle prime luci del mattino sino a notte inoltrata. Sa Lulù, così lo chiamano nella zona, che quella che gestisce è una delle associazioni a delinquere finalizzata al commercio di droga più grande dello Zen 2. Hashish, marijuana, cocaina: ce n’è per tutti i gusti, e se una partita riesce male, ci si lamenta direttamente col fornitore. Non sono ammessi sgarri. Quella che capeggia, insieme a Salvatore Bonura e ad Antonino Mazza, è soprattutto un’organizzazione solida, alla quale dedicarsi h24, addirittura dividendo la giornata in veri e propri turni di lavoro. D’altronde alcuni erano proprio dei «clienti assidui, recandosi ad acquistare le sostanze stupefacenti con cadenza giornaliera».

Ognuno ha il proprio ruolo, ma sono tutte persone preparate e avvezze al mestiere, in grado di intercambiarsi all’occorrenza. Una catena di montaggio infallibile, se non fosse stato per i racconti di alcuni pusher arresti e alle serrate indagini condotte dai carabinieri. Sono furbi però, è il fatto di avere legami familiari e di operare in una zona molto circoscritta li aiuta. Non servono i cellulari per comunicare. Gli inquirenti allora si ingegnano: installano telecamere con cui riprendono i sodali a lavoro, pedinano in incognito ogni membro dell’organizzazione e piazzano una microspia per le intercettazioni ambientali nell’auto di uno dei capi.

Gli inquirenti descriveranno una «condotta ben collaudata»: il pusher contatta o viene contattato dall’acquirente, a cui viene indicato dove fermarsi ad aspettare, a volte prendendo subito il corrispettivo in denaro. Dopodiché si va a prendere la sostanza stupefacente richiesta e avviene la compravendita. Dopo aver racimolato una certa somma di denaro, il pusher la affida a un collega con funzione di cassiere. Finite le dosi, chiede al complice-corriere di portargliene delle altre. Il pusher non spaccia mai da solo, attivi insieme a lui ci sono sempre uno o due complici: si suddividono le sostanze da spacciare per avere, in caso di intervento della polizia, meno roba da far sparire.

Insomma, quella smantellata martedì allo Zen 2 è un’azienda in tutti i sensi: il confezionamento e il taglio delle droghe sono sempre uguali, quasi un marchio di fabbrica. L’hashish viene venduto in stecche di 5-10cm per 2gr, avvolte in pellicola trasparente o carta stagnola. Per la marijuana ci sono dosi di 1gr circa dentro una bustina trasparente spillata. Mentre la cocaina è in dosi confezionate a goccia in buste di plastica. Le prime, più leggere, sono vendute a 5/10 euro, la cocaina invece a 20/40 euro. I guadagni di questa organizzazione dal «carattere imprenditoriale» superano, nei giorni più fecondi, i duemila euro.

Esiste anche una sorta di gerarchia interna del potere: al vertice c’è il triumvirato composto da Bonura, Mazza e Zarcone. A seguire c’è la moglie di quest’ultimo, Elena Billeci, cui spetta il compito di tenere il registro di contabilità, annotando le somme di denaro ricavate da ciascun pusher e il numero di dosi distribuite per ogni turno. Nel livello intermedio ci sono Salvatore Catanzaro alias Nutella e Paolo Puleo, deputati alla supervisione delle attività illecite, una sorta di «raccordo tra il vertice e la base». Tutti gli altri sono dei semplici e fedeli adepti, e tra questi ci sono anche le vedette: «Qua ci dobbiamo mettere quattro, cinque cristiani al giorno», sono gli uomini armati di binocolo sempre allerta che non piombi la polizia.

Tante le abilità riconosciute alla banda, soprattutto nella scelta dei luoghi di occultamento delle sostanze: dal cassonetto della spazzatura in via Pensabene al terreno incolto in via Carosio. E la scala in muratura nel padiglione 7, il tetto di una baracca, un camion abbandonato, lo sportellino del serbatoio carburante della Fiat 500 parcheggiata fra i soliti padiglioni, la buca nel suolo e la botola metallica di un tombino di ispezione delle acque reflue. Insomma, ogni buco era buono per nascondere qualcosa. E quando sorgeva il dubbio che qualcuno all’interno della banda se ne approfittasse, bastava cambiare luogo: «Lui sa dove li metto io – dice Nutella a uno dei capi – Allora io li vado a mettere in un altro mondo, e me la può sucare!».

Silvia Buffa

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