Quella di Vittoria Giunti è una storia d’altri tempi, lontana dalla politica e dalle polemiche attuali. Mentre parte del Paese si interroga se chiamare sindaco o sindaca Chiara Appendino e Virginia Raggi, prime cittadine donne di Torino e Roma, Vittoria Giunti si farebbe, sulla questione, una sonora risata. Esempio di militanza, resistenza, buona politica era «perché rappresentava tutti», racconta il giornalista Gaetano Alessi, autore di una sua biografia.
Vittoria Giunti diventa prima cittadina di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento, nel 1956. Due anni dopo che il borgo viene dichiarato Comune. È stata la prima donna a guidare un paese in Sicilia, la terza in tutta Italia. Nelll’anno in cui, per la prima volta, le donne di Sant’Elisabetta hanno potuto votare.
Anni di aspre lotte contadine, per la liberazione e la distribuzione delle terre, in cui perdono la vita sindacalisti e braccianti. Con i la povertà si faceva sentire e il giogo mafioso pure. Le lotte si registrano anche nei feudi dell’entroterra agrigentino: «Vittoria Giunti guidò le donne che aprivano i cortei, affinché i gabelloti mafiosi non potessero usare violenza nella vera guerra civile siciliana, in cui si contarono più di duemila morti – spiega Alessi -. Fece una lotta casa per casa, nelle strade, nei luoghi d’incontro della comunità».
A Santa Elisabetta, sotto la guida di Vittoria Giunti, prende vita una vera democrazia popolare, con l’adozione del bilancio partecipativo che permette «ai cittadini di controllare direttamente le opere», spiega Alessi. Che sottolinea come con lei «alla mafia vennero a mancare i bisogni del popolo, usati da essa come forma di schiavitù». La prima cittadina è stata una combattente, e in tal senso la rivendicazione contadina rappresenta solo una delle lotte che l’hanno vista protagonista.
Giunti nasce nel 1917, in una facoltosa famiglia borghese toscana. Durante la Resistenza conosce Salvatore Di Benedetto, anch’egli militante comunista, poi sindaco di Raffadali per quasi trent’anni. Nel 1945, Di Benedetto rimane ferito da un’esplosione e sfigurato. Ricoverato in ospedale, all’infermiera dà un biglietto con scritto solo Vittoria Giunti, che viene poco dopo inviata dai vertici del Partito Comunista per proteggerlo. In quel periodo di sofferenza nasce il legame che lì accompagnerà per la vita. Seguendo il marito, infatti, Giunti matura l’idea di vivere in Sicilia. «Ricca com’era, avrebbe avuto tutto l’interesse ad abbracciare il fascismo. E invece lottò, e preferì venire in Sicilia a odorare la puzza delle case contadine», continua Alessi.
A Firenze era stata assistente di matematica all’Università. «Una mente altissima», sottolinea il giornalista. Con frequentazioni tra le più brillanti del periodo, come il circolo dei ragazzi di via Panisperna. «Avrebbe voluto ritornare ad insegnare, ma capì le condizioni della Sicilia», spiega Alessi. Rimanere nell’isola diventa così una scelta d’amore e di lotta, «figlia di una consapevole rinuncia a tutto».
Conclusa l’esperienza da sindaco, Giunta sparisce dalla scena pubblica: «Ripeteva sempre che in prima fila si stava per le botte, e che la cosa più grande della sua vita era stata servire in una comunità tra pari», commenta Alessi, che l’ha conosciuta direttamente raccogliendone la testimonianza. «Non la conoscevamo, si era quasi fatta dimenticare. Avevamo 17 anni, quando la incontrammo per la prima volta», ricorda. L’ultima stagione di lotta, tuttavia, doveva ancora venire. «Ci chiamò quando Cuffaro (originario di Raffadali, ndr) divenne presidente della Regione. Ci offrì la sua intervista, fondammo il giornale per resistere al potere mafioso». Anche quelli anni difficili, in cui AdEst, rivista locale d’inchiesta, prova a raccontare le malefatte della politica, in un’area che diventa base del dominio e del consenso elettorale dei cuffariani. «Fu lei ad incentivarci – commenta ancora Alessi -. Anche quando rasero al suolo due volte la sede, lei aprì casa sua, dove ci riunivamo».
Un impegno che non si è fermato neanche in punto di morte. «Il 27 maggio 2006, quando Rita Borsellino venne sconfitta alle elezioni regionali, eravamo demotivati. Lei era a letto, vicina a spegnersi. Ci convocò e ci disse: resisto io, voi dovete farlo anche», ricorda commosso il giornalista. L’esperienza di AdEst continua anche dopo la morte di Vittoria Giunti, avvenuta il 2 giugno. «Siamo andati avanti fino alla condanna definitiva di Cuffaro, abbiamo resistito solo perché abbiamo avuto Vittoria».
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