Il silenzio dei poliziotti che gestirono Scarantino Convocati a Messina, non rispondono alle domande

«Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere». Questa la decisione di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre ex poliziotti del gruppo Falcone-Borsellino a processo a Caltanissetta per calunnia aggravata. La stessa accusa di cui devono rispondere, di fronte alla procura di Messina, Carmelo Petralia e Annamaria Palma, oggi rispettivamente procuratore aggiunto a Catania e avvocata generale a Palermo, entrambi all’epoca nel pool di magistrati che coordinò l’inchiesta sulla strage di via D’Amelio. I tre ex funzionari sono stati convocati a Messina per essere interrogati in qualità di imputati di reato connesso, status che garantiva loro di potersi avvalere della facoltà di non rispondere. Facoltà che hanno sfruttato, rimandando la loro deposizione al processo in corso a Caltanissetta nei loro confronti.

Quel pool investigativo è lo stesso di cui facevano parte anche i tre poliziotti, che sono accusati di aver imbeccato i falsi pentiti coinvolti nell’inchiesta, contribuendo di fatto al depistaggio. I tre in particolare hanno gestito nei vari siti di protezione Vincenzo Scarantino, che avrebbero imbeccato con appunti e bigliettini al fine di indirizzare e aggiustare, di volta in volta, la versione che avrebbe dovuto riferire ai magistrati. Petralia e Palma sono stati iscritti nel registro degli indagati dai colleghi di Messina lo scorso giugno e dovranno rispondere di presunte responsabilità in quello che è stato definito «tra i più grandi depistaggi della storia italiana». 

Secondo l’accusa, anche loro, come nel caso dei poliziotti imputati a Caltanissetta, avrebbero avuto un ruolo nell’imbeccare e manipolare i tre falsi pentiti, che hanno finito per accusare degli innocenti estranei alla strage del 19 luglio. A spedire gli atti ai magistrati di Messina erano stati proprio i colleghi di Caltanissetta, dopo la sentenza del Borsellino quater. Nel pool investigativo guidato da Giovanni Tinebra insieme ai due finiti sotto inchiesta, all’epoca c’era anche un giovanissimo Nino Di Matteo, passato dalla Dda di Palermo alla procura nazionale antimafia e recentemente nominato consigliere al Csm. Mentre alcuni atti furono firmati anche dall’allora procuratore aggiunto Francesco Paolo Giordano e dal sostituto Fausto Cardella. All’indagine venne applicata Ilda Boccassini, che proveniva da Milano, ma poi andò via perché non credeva più alla collaborazione di Vincenzo Scarantino.


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