Verso legge per fermare l’antimafia di professione Fava: «Titoli vuoti hanno agevolato alcune carriere»

Un’indagine sulle storture del movimento antimafia e su quei personaggi che della lotta alla criminalità organizzata hanno fatto un vessillo dietro cui nascondere gli scheletri. L’obiettivo è scongiurare il rischio di medaglie al valore auto assegnate, a cui però corrispondono ben pochi fatti. Ne è convinto Claudio Fava, vicepresidente della Commissione nazionale antimafia, che da oltre un anno indaga sul fenomeno dell’antimafia di professione. Il fine? Una proposta di legge che metta dei paletti e riporti al centro della lotta alla criminalità il riscatto dei territori, invece che singole carriere.

C’è un percorso, che la commissione antimafia sta portando avanti e che riguarda un certo modo di contrastare la criminalità organizzata. Cosa emerge?
«Emergono conferme. Adesso dobbiamo provare a collegarle tra loro, per capire che tipo di proposta normativa e politica può avanzare la commissione. Negli ultimi anni, militare tra le file della cosiddetta antimafia ha comportato una sorta di titolo nobiliare che non corrisponde a fatti e comportamenti. E che, naturalmente, ha agevolato carriere politiche e immunità».

In questo clima è difficile anche immaginare un contraddittorio.
«Chiunque avanzi critiche a certi personaggi, immediatamente è tacciato di essere colluso, o quantomeno nemico dell’antimafia. Sia sul piano politico che rispetto ai comportamenti assunti, ciò che deve contare per parlare di antimafia devono essere i fatti, piuttosto che le autodefinizioni. Se rileggiamo la storia recente con questo metro, di fatti se ne vedono pochi, di autocitazioni molte».

Si tratta di un percorso iniziato in qualche misura dal caso Saguto?
«Il caso Saguto è stato certamente una vicenda molto spiacevole, ma avevamo già da prima elementi di indagine. O ancora quello dell’ex presidente Confindustria Sicilia Antonello Montante o dell’ex presidente di Confcommercio Palermo, Roberto Helg. Ma il nostro è un lavoro di valutazione che non vede la Commissione come giudice. Una valutazione in parte legata a fatti, ma più a comportamenti. La sensazione, al di là dei nomi, è di una manipolazione, che questo schieramento sia servito ad altro».

Dall’altra parte, al governo della Regione c’è un altro modello di antimafia, rispetto alla quale nel 2012, lei si era posto come alternativo.
«Più che pormi come alternativa a loro, pensavo a un’idea di governo in cui l’antimafia non fosse una divisa da indossare, ma un metro di misura che guidasse l’azione amministrativa. La nostra proposta politica era quella di recidere lacci e lacciuli di favoritismi che avevano alimentato in Sicilia il gioco di favori e menzogne. Che riportasse al centro una politica libera, non costretta a costruire il consenso attraverso il baratto».

Avete già ragionato in sede di commissione su quale potrebbe essere la proposta normativa da promuovere per arginare il fenomeno della costruzione di carriere sotto il vessillo della lotta alla criminalità?
«Soltanto sui presupposti generali, ma certamente crediamo che il punto di partenza debba essere la qualità degli atti, dei comportamenti, dei risultati. Non l’autodefinizione. Soprattutto quando si parla di un sistema di fondi pubblici e finanziamenti. Non può più bastare chiamare un’associazione Viva Falcone per avere una medaglietta antimafia. Servono griglie di efficienza, risultati, una gestione dei beni confiscati che favorisca il riscatto dei territori. Naturalmente tutto questo non significa alzare barriere non tenendo conto di quanto di buono è stato fatto, ma servono delle regole».

In Sicilia intanto è iniziata la lunga stagione elettorale. Il movimento democratico e progressista sta già ragionando sul percorso da costruire in vista delle regionali?
«In vista delle regionali dobbiamo avere chiaro che se noi mettiamo insieme quello che esce dal Pd più gli altri pezzi, è soltanto un’addizione povera. La sfida è tornare ad avere un dialogo con chi invece si è avvicinato a pericolose derive populiste. Il dibattito interno ai partiti interessa ben poco alla gente, interessano idee e pratiche politiche, per parlare a una Sicilia ormai sorda e silente. Bisogna costruire una proposta capace di essere trasversale».

Miriam Di Peri

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