Ennesimo raid nel Giardinetto di piazzale Anita Garibaldi. Il presidente del Centro Padre Nostro: «Ogni settimana siamo costretti a ripristinare le lampade, a sostituire i globi dei pali dell'illuminazione, che rompono e che usano per giocare a calcio sotto gli occhi impauriti degli abitanti». Sono circa 80 le denunce di danneggiamenti negli ultimi 20 anni. «Ma i colpevoli restano impuniti»
Vandali nel piazzale dedicato al beato Puglisi Artale contro «incivili»: «A Brancaccio vince omertà»
Il Giardinetto di piazzale Anita Garibaldi, a Brancaccio, ricorda il martirio del beato Pino Puglisi. Davanti al portone di casa, in quel francobollo di terra, il 15 settembre del 1993 i sicari di Cosa nostra lo uccisero. Nel giorno del suo 56esimo compleanno, qualcuno lo chiamò, gli scivolò alle spalle e, mentre si girava, gli esplose diversi colpi di pistola alla nuca. Una vera e propria esecuzione mafiosa. Il Comune di Palermo costruì quel piccolo lembo di verde a sua memoria negli anni Novanta, oggi a custodirlo sono i volontari del centro di accoglienza Padre nostro, fondato dal beato.
Appena dieci metri quadrati di aiuole che i vandali continuano a saccheggiare e deturpare. Il giardino non è ancora entrato nel programma di manutenzione e pulizia ordinaria dell’assessorato comunale al Verde, né in quello della Rap, l’azienda di igiene ambientale, nonostante le sollecitazioni del sindaco Leoluca Orlando. «Perché la burocrazia è un nemico invisibile – dice Maurizio Artale, presidente del centro Padre nostro a MeridioNews -. Riceviamo a parole la massima disponibilità da parte delle istituzioni. Salvo poi ritrovarci nei fatti sempre allo stesso punto».
Così ogni settimana i volontari del centro sono costretti a ripristinare le lampade rubate o a sostituire le sfere dei pali dell’illuminazione che qualcuno scambia per un pallone improvvisato con cui giocare a calcio nel piazzale. In pieno giorno e sotto gli occhi di tutti. «Gli abitanti dei palazzi circostanti preferiscono girarsi dall’altra parte piuttosto che denunciare quanto accade. Temono ritorsioni – dice Artale -. E dimenticano che padre Puglisi è morto per loro. Ammazzato. Occorrerebbe allora avere un po’ di dignità».
Anche oggi, per l’ennesima volta, qualcuno ha distrutto i pali dell’illuminazione. Questa volta, però, i volontari del centro hanno deciso di non sporgere alcuna denuncia. «Per non far perdere tempo alle forze di polizia e a noi stessi. Sostituiremo l’ennesimo globo e l’ennesima lampada che “i soliti noti” hanno rotto». Ottanta denunce in 20 anni sono un lungo elenco. I vandali hanno preso di mira il centro polivalente, il pulmino dei disabili, i pochi beni dei volontari. Devastano, mettono a soqquadro, rubano, appiccano le fiamme. «È possibile che in 22 anni e con 80 denunce mai nessuno sia stato individuato e punito?».
È arrabbiato Maurizio Artale. Non con le istituzioni, ma con il quartiere. «Sono passati oltre 20 anni è don Pino non è entrato nel loro cuore, nonostante il sacrificio estremo della vita – dice -. La verità è che qui manca il senso civico, resta, al contrario, un clima omertoso, tra questa gente non è attecchito il seme del cambiamento». È amareggiato Maurizio Artale. Perché «una telefonata si può fare anche anonima – dice -. Invece, ci si gira dall’altra parte, salvo poi scendere in strada a difendere la propria auto se qualcuno gli gira intorno con fare sospetto. Ma il giardinetto non è loro. E nemmeno padre Puglisi».
Nessuna speranza di riscatto dunque per Brancaccio? «L’unico cambiamento lo vedo nei bambini, ma anche loro continuando a sguazzare in questo fango…» dice lasciando la frase in sospeso. Trentacinque bimbi dal 16 al 21 luglio insieme a 6 operatori del centro andranno in una colonia a Poggio Maria, vicino Cefalù, ospiti del vescovo emerito Rosario Mazzola. «Cerchiamo di toglierli dalla strada, ma è davvero poca cosa. Qui mancano esempi che camminano per strada. Pregheremo il beato Giuseppe Puglisi affinché possa convertire questi incivili, che non sono degni della città che a lui ha dato i natali, né del riconoscimento che la stessa ha avuto da parte dell’Unesco».
Non nasconde che talvolta la voglia di mollare tutto lo ha assalito. «Poi penso che se ce ne andiamo noi qui non ci sarà più niente da fare – dice – e allora ci rimbocchiamo le maniche e ricominciamo. Occorre un maggiore impegno da parte di tutti, istituzioni, cittadini, volontari. Fino a quando avremo i soldi per sostituire le lampadine e riparare i danni dei “soliti noti” andremo avanti». Perché la sconfitta vera è abbandonare il quartiere.