Un pot-pourri di realtà geografiche, artistiche e culturali

Si è concluso da pochi giorni il Festival Internazionale del Cinema di Frontiera. Ospitato da sempre nell’antico e suggestivo borgo marinaro di Marzamemi, in provincia di Siracusa, è giunto alla sua sesta edizione che va ad inaugurare un nuovo lustro dopo il fortunato successo dei primi cinque anni. Un quartiere dalla fisionomia settecentesca ancora incontaminato e set cinematografico amato già da diversi registi (quali Salvatores, Tornatore, Taviani, Brandeur) è adibito ad arena naturale, per godere di un cinema sotto le stelle ma tra i contorni di chiesette, taverne e cortiletti arabeschi. Motivo dichiarato del Festival è utilizzare il Cinema non solo come mezzo di espressione artistica ma anche come strumento di conoscenza di popoli e costumi, perché “anche un piccolo film dichiaratamente intimista segna il luogo ed il tempo da cui proviene”, afferma il direttore artistico Nello Correale.

Questo Festival, appena inserito nella FIBAC (Associazione dei Festival di Cinema Italiani più importanti) si pone come mezzo per abbattere muri e frontiere che il nostro comune padre Mediterraneo da sempre ci insegna a superare.

Per immergere anche voi lettori nell’atmosfera fatata che inonda i visitatori, assidui ed in continua crescita, che hanno avuto voglia, fortuna o semplice curiosità di esserci, abbiamo intervistato Alessandro Puglia, poeta neolaureato, ventunenne dalle mille potenzialità, il cui nome spicca addirittura tra i ringraziamenti in apertura al catalogo del Festival.  

Qual è stato il tuo ruolo? È il primo anno per te?
Io ho avuto l’occasione di conoscere Sebastiano Gesù e Nello Correale, organizzatori del Festival, due anni fa in una serie di incontri cinefili nell’ambito dell’EtnaFest, importante manifestazione cinematografica che si tiene ogni anno a Catania. Si è subito creato un rapporto di stima reciproca, per cui ho iniziato a collaborare con loro fino a dare una mano effettiva alla realizzazione di questa e della passata edizione del Festival del Cinema di Frontiera. Il mio ruolo è consistito nella collaborazione audiovisiva, nella scelta dei film, in alcuni lavori di montaggio e post-produzione. Naturalmente quando si è alle prese con un Festival, bisogna fare un po’ di tutto, dall’aspetto più “intellettuale” a quello più tecnico e pratico. 

Su quali criteri si è basata la vostra scelta quest’anno?
La scelta dei film riguarda la frontiera ovviamente, tutti i lavori indagano su vari Paesi del mondo, dal Texas al Messico all’Africa. Mentre lo scorso anno la rassegna è stata dedicata al cinema libico e coreano (che recentemente sta avendo un grandissimo boom, basti pensare alla regia di Kim Ki Duk), questa edizione è volta alla valorizzazione del cinema albanese. In entrambi i casi si tratta di tipi di cinema poco frequentati, conosciuti, per la prima volta affacciati sul panorama europeo grazie al Festival. 

Quale film ti ha maggiormente entusiasmato?
Il film che a me personalmente ha colpito di più è, non a caso, il vincitore “L’isola di ferro”. Pur essendo connotato da toni drammatici, è stato premiato perché ben rispecchia l’idea di un “cinema di frontiera”. Presenta una forte forza da apologo e uno stile molto ricercato. Tutti i film, comunque sono impegnati e interessanti, il che ha reso difficile la scelta ai giurati.
Un altro film a mio avviso bellissimo è il premio Oscar “Il suo nome è Tootsi”, ma di enorme successo è stato anche “My father” di Egidio Eronico, regista italiano che insieme a pochi altri si distingue nel panorama cinematografico nazionale.

Nel cortile di Villadorata ogni sera sono stati proiettati diversi cortometraggi, in concorso e non. Ha vinto “Moka” che, come e simultaneamente al lungometraggio iraniano vincitore, ha aperto la manifestazione. Vittoria meritata o serata fortunata?
Meritata ovviamente! È un corto molto simpatico, dei registi napoletani Susanna e Mariano Fiocco e Francesco Minervini. Il loro genio si esprime nella creatività e animazione di una macchinetta da caffé che si ribella al Vesuvio.

Contemporaneamente nel pomeriggio a partire dalle 16.30 nella sede decentrata di Pachino il Festival si è impreziosito della rassegna Werner Herzog. Come mai questa scelta?
Herzog è un vero e proprio maestro del cinema, che io ammiro moltissimo. Poco studiato magari nelle scuole di cinema, ma fortemente voluto dal direttore artistico del Festival. La retrospettiva non ha però voluto trattare l’Herzog più conosciuto, bensì il documentarista, poco frequentato. Il documentario è un genere in cui riesce ad esprimersi al meglio. Sono stati proiettati documentari d’incanto, come “Apocalisse nel deserto” e “Fata morgana”. Questi presentano una forma unica: il cineasta tedesco rifiuta l’idea di un cinema-verità, realizzando documentari di alta poesia, momenti altamente espressivi grazie anche al contributo sonoro. Suo obiettivo, come afferma in varie interviste, è realizzare un unico enorme film, contenente tutti i lavori prodotti durante la sua vita; in effetti, tutti questi frammenti connotati nel tempo cinematografico in conclusone acquisiscono una profonda unità di stile. 

Tu che hai vissuto intensamente i sei giorni della manifestazione avrai anche assistito a qualche episodio divertente. Raccontaci un aneddoto. 
Ne riferisco uno capitato al direttore. Nello mi raccontava che una signora del luogo gli chiese insistentemente “Dov’è Luca Zingaretti? Dov’è Luca Zingaretti?” e lui rispose “Lui è qui, vaga, gira da un posto all’altro”. Al che la signora s’incamminò alla ricerca del fantomatico Montalbano un po’ dappertutto e senza sosta. Marzamemi è dunque un luogo in cui è possibile incontrare l’appassionato intenditore di buon cinema, ma anche la gente del luogo, simpaticissima. Si crea un ambiente surreale, si ha l’impressione che a Marzamemi aleggi una magia particolare. E lo hanno dimostrato le 3500 persone, rimaste fino alle quattro di notte ad assaporare con passione i film in proiezione.

Come descriveresti il festival a chi non l’ha mai visitato e come invoglieresti i lettori a farlo al più presto?
Il Festival di Marzamemi, come ha sottolineato Nello Correale, è il cinema all’aperto più a Sud d’Europa. Marzamemi con la sua aria suggestiva rappresenta il fulcro della Sicilia cinematografica. Non a caso il posto in cui è ubicato, vicinissimo all’Africa, rende proprio quest’aria incantata, come se qui e solo qui ci fosse l’odore, il sapore del Festival. Inoltre, gli schermi e le video-istallazioni che si intersecano ed incrociano tra loro creano effetti di luce particolarissimi. Per una settimana questo piccolo borgo marinaro si trasforma in un universo parallelo, magico in cui immergersi senza nessun altro pensiero.

Benedetta Motta

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