Secondo l’International press institute sono 43 i giornalisti uccisi nel mondo quest’anno, uno ogni cinque giorni. La maggior parte si trovava in zone di guerra, Siria soprattutto. Ma in passato molte vittime sono cadute lontane da scontri o situazioni politicamente preoccupanti, molto più vicino a noi. I nomi di Carlo Casalegno, Walter Tobagi, Giancarlo Siani a volte riemergono dalle ombre del passato, così come le loro storie, ricordate oggi a Palermo in occasione della Giornata della Memoria dedicata ai giornalisti uccisi da mafie e terrorismo. Organizzata dalla sezione siciliana dell’Unione nazionale cronisti italiani – che in occasione della prima edizione della giornata ha raccolto in un libro alcune delle storie più importanti dei giornalisti italiani uccisi – in collaborazione con l’Ordine regionale dei giornalisti e con l’Assostampa siciliana, ha ricevuto il patrocinio dalla Presidenza dell’Ars. E’ la prima volta che l’evento si svolge in Sicilia; negli anni passati le città scelte sono state Roma, Napoli, Milano e Genova. L’Isola, ha spiegato il presidente regionale dell’Unci Leone Zingales, è la regione con il più alto numero di vittime, otto: Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mario Francese, Mauro Rostagno, Beppe Alfano e Pippo Fava.
Mentre ancora si trascina la polemica dopo le parole di Beppe Grillo sulla mafia («La mafia non ha mai strangolato i suoi clienti», sostiene il comico genovese), al palazzo dei Normanni si sono susseguite le storie di quanti hanno perso i propri cari caduti sotto i colpi della criminalità per inseguire una verità tanto sacrosanta quanto pericolosa. «La ricerca della verità e l’informazione libera hanno un costo altissimo, che molti grandi professionisti hanno pagato con un tributo di sangue – ha affermato il Presidente dell’Ars Francesco Cascio – Credo sia dovere delle istituzioni ricordarli per sostenere l’importanza dell’informazione imparziale e per affiancare chi con coraggio svolge il proprio ruolo di cronista senza vendersi a nessun padrone».
«Per me le vere vittime sono quelle che sparano, sono vittime della loro idiozia», ha detto Franco Piccinelli, il direttore della sede Rai di Torino ferito nel 1979 dalle Brigate rosse. Un mestiere che – lo confermano le statistiche – è sempre pericoloso. Per Franca De Mauro, figlia del cronista de L’Ora Mauro De Mauro, «essere paladini della libertà di informazione comporta ancora oggi un grande rischio per la propria vita». Di «affetto» e «rabbia» ha parlato Elena Fava: «Dobbiamo pretendere che la storia dei nostri familiari sia la storia di tutti». Alle sue parole fanno eco quelle di Alberto Spampinato, fratello del cronista ragusano Giovanni: «Non è giusto lasciare a noi familiari delle vittime il compito di far conoscere le loro testimonianze, ma espone molto al rischio di agire per interessi privati e pesa la disattenzione e indifferenza. Spero che il nostro Paese faccia di più, specie la Sicilia».
[Foto di SpOOn^Man]
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