Era il 12 maggio del 2018, Coronado sparava in curva a cinque minuti dalla fine il rigore che sarebbe potuto valere la vittoria contro un Cesena che non aveva già più nulla da chiedere al campionato. Un errore che di fatto comprometteva la promozione diretta in serie A del Palermo, che non si concretizzò proprio per quei due punti persi in casa. La delusione più grande, tuttavia, non è stata probabilmente quella dei 23mila del Barbera, quanto quella che dipinta sui volti di Salvatore e Walter Tuttolomondo, freschi di firma su una transazione che portava nelle loro mani la società di Viale del Fante per la cifra simbolica di dieci euro. Non tanto per le sorti sportive del club, quanto per la mancata possibilità di incassare i benefit derivati dai diritti televisivi e dagli sponsor che sarebbero arrivati con la A. Questo almeno stando alla ricostruzione fatta dagli investigatori, che hanno messo in manette i fratelli imprenditori, insieme ad altri interpreti del loro cerchio magico.
«Gli indagati hanno acquistato la Us Città di Palermo con l’intenzione di non investirvi nemmeno un euro – si legge nelle carte della Procura – con la consapevolezza quindi che in caso di mancata promozione in serie A, la società non avrebbe mai ripianato i propri debiti e sarebbe naufragata tra le loro mani». E a sostegno di questa tesi c’è anche il fatto che, sempre secondo gli inquirenti, un modo per dare respiro alle casse del Palermo ci sarebbe anche stato: «A fronte della mancanza di liquidità, gli indagati avrebbero anche potuto escutere la garanzia fideiussoria prestata da Gasda spa, la società holding di Maurizio Zamparini». Un fondo di garanzia a tempo, istituito proprio per le emergenze, che i Tuttolomondo avrebbero lasciato scadere senza mai nemmeno provare ad attivarlo.
Con il Palermo costretto sul campo a rimanere in serie B, l’unica cosa rimasta da fare era spremere l’ultima linfa dalla società. Non uno stipendio pagato, non un creditore soddisfatto, ma un dedalo di aziende e società, tutte riconducibili ai fratelli Tuttolomondo, che si spartivano a suon di bonifici le ultime risorse rimaste. In realtà il tentativo di iscrizione in serie B c’è anche stato, ma per farlo serviva ripianare i debiti, per questo «hanno fatto acquistare alla Us Città di Palermo un credito inesistente da 2.900.000 euro da Group Itec Srl, una società del gruppo Arkus (la società dei Tuttolomondo che opera nel settore del turismo), credito che hanno poi portato in compensazione con i debiti esistenti».
Operazione che non è comunque riuscita a eludere i controlli della Covisoc che una volta esaminata la documentazione scrisse di avere riscontrato «il mancato rispetto dei criteri legali ed economico finanziari per l’ottenimento della licenza nazionale ai fini dell’ammissione al campionato di serie B 2019-20» facendo notare, tra le altre cose, che «non è provata la esistenza di un asserito credito tributario che sarebbe stato portato in dote da una società riconducibile ai nuovi proprietari». E operazione che porterà anche alle dimissioni del presidente del Cda, Alessandro Albanese, assente durante l’approvazione dell’acquisizione del credito e in disaccordo successivamente con la decisione presa, tanto da decidere di farsi da parte.
Fallito il proposito di iscriversi al campionato, persi dunque tutti i giocatori a parametro zero e con loro la speranza di ulteriori introiti provenienti dal calciomercato, ecco fiorire i bonifici con causali fittizie nei confronti di tantissime società: la Arkus Tecnology, la Ponte di Nona immobiliare, la Dae, persino un tale Gianluca e la Struttura Srl, una società di fatto inattiva, cosa che non si doveva assolutamente scoprire. Tutto sarebbe cominciato con un bonifico da 341.600 euro emesso a titolo di “anticipo contratto inc. prof.le del 23/08/2019”, il tutto per un «mero ruolo di intermediazione rispetto alla scelta di due professionisti chiamati a redigere il piano», tra cui Michele Castaldo. Proprio Castaldo, finito anche lui tra gli indagati, pare fosse a conoscenza dell’inattività di Struttura e consigliava cautela: «Volevo pregarti… che questo è un passaggio delicato. Tu non devi scrivere mai direttamente all’Us Città di Palermo, ma è Struttura che deve scrivere».
Struttura, secondo quanto emerso dalle indagini, altro non sarebbe stata che la cassa di famiglia dei Tuttolomondo, il bancomat dei due fratelli e di Riccardo, figlio di Salvatore, da utilizzare anche per le piccole spese quotidiane. Un forte che ha retto fino al 4 ottobre del 2019, quando in odore di fallimento, il Palermo è stato commissariato con la nomina di Giovanni La Croce come amministratore. Amministratore che tra i primi atti ha provveduto a tagliare i ponti con Struttura. Dopo la revoca dell’incarico il primo pensiero dei Tuttolomondo sarebbe stato quello di spostare le somme dirottate in precedenza su Struttura sul conto di un’altra società che non fosse riconducibile al gruppo Arkus. «Nel contempo i soldi su Struttura, falli spostare sul conto di Gianluca, che è terzo a tutti gli effetti», l’idea proposta da Salvatore Tuttolomondo al fratello Walter.
Poi il ripensamento: «Vedi se Gianluca ha aperto il conto Arkus Technology, sennò si possono mandare ad Arkus Technology». Infine la soluzione, arrivata nel pomeriggio: «Dove cazzo lo possiamo girare?», chiedeva Walter al fratello. «Quale società, quale? Che non ha collegamenti con Arkus. Li mando a Ponte di Nona e poi li risposto al volo». Sono gli ultimi spiccioli rimasti nelle casse di un Palermo ormai esanime. «Sì, però non mandare 38 (mila euro ndr), mandane 35. Lascia tremila, no?», diceva Salvatore al fratello, prima di lasciarsi andare a un commento nei confronti del nuovo amministratore: «Questo va cercando proprio le mazzate. Sto coglione di merda».
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