Al vertice dell’organizzazione, sgominata oggi dai carabinieri del Comando provinciale di Palermo, che hanno fatto luce su una truffa milionaria ai danni dell’Inps, c’era Giuseppe Cinà, 60 anni, pluripregiudicato, già finito in manette per analoghi reati nel giugno del 2007 e attualmente ai domiciliari. Era lui per gli investigatori il cuore della banda, in grado di far ottenere pensioni d’invalidità a persone non in possesso dei requisiti di legge.
Diciotto in tutto le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip del Tribunale del capoluogo siciliano nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più delitti di falso materiale in atto pubblico e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.
In carcere sono finiti oltre a Cinà, anche Nicola Cipolla, 63 anni, e Giovanni Tantillo, 41 anni. Arresti domiciliari, invece, per Alina Nicoleta Carmaz, romena, 30 anni; e le palermitane Silvana Giordano, 51 anni, Paola Pipitone, 31 anni. Per dodici persone è stato disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Le indagini, coordinate dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Bernardo Petralia e dai sostituti Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia, sono scattate nel febbraio del 2014, dopo un tentativo di estorsione ai danni di Tantillo da parte dell’ex compagna. La donna, dopo essere entrata in possesso di alcuni documenti sanitari contraffatti, aveva ricattato l’uomo, pretendendo del denaro per la restituzione del materiale.
Così gli investigatori sono riusciti a fare luce sull’organizzazione, accertando 25 truffe per un valore complessivo di un 1,5 milioni di euro e procedendo al sequestro per equivalente di saldi attivi di conti bancari e beni mobili e immobili riconducibili agli indagati. L’operazione, denominata “Malati immaginari”, ha permesso di ricostruire il modus operandi dell’associazione. Fulcro della banda era appunto Cinà. Spettava a lui procacciare i “clienti”, coordinare l’attività degli altri intermediari, occuparsi degli atti sanitari falsi e di una costante “assistenza” nei confronti dei beneficiari delle pratiche. Dopo che l’aspirante pensionato si rivolgeva all’uomo, venivano redatti alcuni certificati medici contraffatti. Iniziava così l’iter burocratico, che veniva seguito passo dopo passo da Cinà, tenuto sempre bene informato sulle date delle visite mediche, sulle commissioni, sull’esito positivo o negativo delle pratiche e sulla data di liquidazione degli eventuali benefici economici.
Al momento della visita medica il paziente veniva “istruito” su come comportarsi. In alcuni casi era lo stesso Cinà o il suo autista e factotum Cipolla ad accompagnare i presunti invalidi davanti la commissione. Ma il capo della banda faceva anche di più. Si adoperava per trovare persone che, spacciandosi per badanti o familiari, erano disposte ad assistere il paziente durante la visita affinché la messinscena fosse più credibile. Il tutto, ovviamente, dietro compenso: 50 euro a visita. Se la pratica andava a buon fine, Cinà poteva raccogliere i frutti del suo “lavoro”: la riscossione degli arretrati oltre a un “fisso mensile” su ogni singola pensione.
«Gli effetti positivi sul piano dell’equità e della legalità – spiegano gli investigatori – sono il valore principale di questa attività. Il terreno di coltura del fenomeno, infatti, è la rete di burocrazia infedele che certifica falsità con connivenze e interessi clientelari enormi. L’opposto di quanto avrebbero bisogno i veri invalidi, vere vittime di questo sistema criminale».
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