Trivelle, «ecco perché non voterò al referendum» Le motivazioni in 8 punti di una giovane geologa

«Mi rendo conto di quanto possa essere facile restare impressionati da una campagna di Greenpeace che ci fa vedere le immagini del povero gabbiano tutto sudicio di petrolio che tenta disperatamente di aprire le ali. Ci vengono le lacrime agli occhi, vero? Ma siccome sono chiamata a dare un voto e mi piace pensare e agire con la mia testa, ho deciso di prendermi del tempo per informarmi e andare oltre le immagini e le informazioni che fonti “orientate” ci propinano in rete». E alla fine Michela Costa ha deciso che a votare per il referendum sulle trivelle del 17 aprile non ci andrà. «E se proprio fossi costretta voterei no». Michela, 32enne geologa palermitana, con un dottorato in Vulcanologia e un master in Ambiente, ha sintetizzato le sue ragioni in un post su Facebook che in poco più di 24 ore è stato condiviso oltre quattromila volte. Senza contare le decine di messaggi privati che le sono arrivati. 

«Dal ragazzino di 13 anni che era arrabbiato con me perché dice di amare il mare e di tenerci al suo futuro, fino a chi mi accusava di lavorare per qualche compagnia petrolifera, ma io sono disoccupata», racconta la geologa. La maggior parte dei commenti, tuttavia, arrivano da persone che hanno trovato nel post le parole per sostanziare le loro argomentazioni. «Molte condivisioni sono state accompagnate da frasi come “informiamoci bene e decidiamo”, o “quasi quasi cambio idea“. Questo perché finora l’informazione è stata molto sbilanciata verso chi è a favore del referendum». Il 17 aprile si voterà per abrogare una norma contenuta nel decreto cosiddetto Sblocca Italia che consente l’estrazione «per la durata di vita utile del giacimento». Secondo il provvedimento del governo, cioè, sarà possibile estrarre petrolio o gas naturale dai giacimenti, fino all’ultima goccia di combustibile. Mentre se il referendum raggiungesse il quorum e prevalessero i , le ricerche si fermerebbero al momento della scadenza delle concessioni date. 

Michela argomenta la sua posizione in otto punti. Il primo: 1) lo stop che prevede il referendum riguarda più il gas metano che il petrolio; 2) la vittoria del Sì porterà alla costruzione di altri impianti oltre il limite delle 12 miglia; 3) la vittoria del Sì non scongiura un rischio ambientale, anzi, contribuisce ad aumentare l’export petrolifero e quindi anche l’inquinamento; 4) la vittoria del Sì non si traduce in una politica immediata a favore delle energie rinnovabili che a conti fatti da sole non possono ancora bastare; 5) il referendum è inopportuno, fa leva sulla disinformazione dei cittadini e sulla cattiva immagine che una trivella ha nell’immaginario comune; 6) non è vero che la presenza degli impianti abbia ostacolato il turismo. A supporto di questa tesi la geologa cita il litorale romagnolo, meta di migliaia di visitatori; 7) non è vero che l’estrazione di combustibili dal sottosuolo può innescare terremoti come quello avvenuto anni fa in Emilia; 8) la vittoria del Sì contribuirà allo sfruttamento dei Paesi in via di sviluppo, come «le estrazioni di gas dell’Eni in Mozambico». 

«Anziché informare si fa leva sulle emozioni delle persone – sottolinea la geologa – è chiaro che sto dalla parte della tartaruga che nuota libera in un mare cristallino e solidarizzo col gabbiano pieno di petrolio». Michela racconta di avere «partecipato attivamente alle campagne di Greenpeace, ma gli studi che ho fatto sulle rinnovabili e sull’ambiente – precisa – mi hanno fatto cambiare idea su molte cose. Prima non avevo le conoscenze tecniche per prendere posizione e mi limitavo a essere contraria con superficialità». Nelle scorse settimane alcuni suoi amici, conoscendo le sue competenze, le hanno chiesto la sua posizione rispetto al referendum. «Rimanevano stupiti di fronte alle mie riposte, da lì ho capito che c’era bisogno di approfondimento». 

La gran parte degli argomenti sostenuti da Michela hanno a che fare con la coerenza negli stili di vita. «Il motore di questo articolo non era politico ma ideologico – spiega – non contesto il sì di qualcuno, ma lo invito a essere coerente, a cominciare da un comportamento ineccepibile dal punto di vista energetico. Non posso dire di voler essere indipendente dal petrolio, senza fare nessuno sforzo per adeguare il mio stile di vita, che non significa andare in bici o fare la differenziata, ma rinunciare a qualsiasi forma di utilizzo dei combustibili fossili. Significa non possedere né auto né moto che non siano elettriche; significa non viaggiare né in aereo né in nave; significa avere una casa totalmente sostenuta da rinnovabili, con stufe a pellet o i raggi infrarossi; significa non comprare tantissimi prodotti che fanno parte della nostra vita quotidiana e per la produzione dei quali vengono usati combustibili fossili. Insomma, significa essere degli integralisti energetici, avere uno stile di vita molto più che green. Ma quanti – conclude – tra quelli che voteranno SI hanno una condotta del genere?».

Salvo Catalano

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