È assai probabile che siano state le inquietudini del vulcano Etna a mettere in moto il sisma che nella notte ha terrorizzato i paesi del versante sud-ovest della montagna catanese. Gli indizi finora sul tavolo puntano tutti verso quella direzione e, già nelle prossime ore, gli scienziati dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia potranno dare qualche certezza in più. «Non escludiamo che il terremoto sia legato ai meccanismi di ricarica dell’Etna», ammette il direttore dell’Ingv-Osservatorio etneo di Catania Eugenio Privitera. Che la grande montagna si gonfi come un pallone, grazie al magma che risale da sotto la crosta terrestre, non è una novità. Tale dinamica geologica viene costantemente monitorata e studiata dagli esperti, assieme alle sue correlazioni con i movimenti delle tante fratture che tagliano i fianchi del vulcano. Già oggi alcuni ricercatori sono al lavoro per dei rilievi sul campo.
Una di queste strutture è quasi certamente collegata al terremoto che ha avuto epicentro a quasi due chilometri da Santa Maria di Licodia, a una profondità di circa otto chilometri. In quella zona scorre la faglia denominata Vallone Licodia, «estesa fino ai crateri sommitali», ricorda il direttore Privitera. «I dati sulla profondità dell’evento ci lasciano pensare – prosegue il capo dell’Ingv di Catania – che tutto sia connesso alla risalita del magma che diventa una sorgente di stress per le strutture tettoniche lungo quel versante del vulcano». I terremoti tipici dell’area etnea, quando non legati allo scontro fra le placche, non sono altro che il frutto di queste sollecitazioni.
Le scosse di Licodia sarebbero allora un’altra puntata di sciami e sequenze sismiche già avvertiti nelle scorse settimane. Da ultimo, movimenti di magnitudo minore, rispetto alla 4.6 odierna, si erano registrati pochi giorni fa lungo altre faglie in Valle del Bove, vicino monte Fontane e lungo la faglia Pernicana, sul versante nord dell’Etna. «Circa un anno fa – aggiunge poi Privitera – nell’area oggi colpita si era verificato una scossa magnitudo 3.3».
Ma la storia di sismi, a carattere locale ed effetti non di poco conto, è ancora più densa. Al netto dei grandi disastri come nel 1693, lo stesso Ingv ha citato il terremoto di Aci Sant’Antonio del 1818, con ipocentro simile ma magnitudo 6.3. Più di recente c’è chi rammenta i terremoti di Fleri nel 1984 e quello di Santa Venerina nel 2002. «La scossa di stanotte è stata ancora più profonda rispetto a quegli eventi, estremamente superficiali, più distruttivi ma con effetti molto ristretti sul territorio», spiega ancora il direttore Ingv. Il terremoto di Licodia, come confermato dagli scienziati, ha invece avuto una vasta area di risentimento, percepito fino a Messina e Siracusa.
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