Sul treno per il mare, il viaggio degli ambulanti Storie di chi va da Palermo a lavorare in spiaggia

È lunedì primo maggio, fa caldo, non si lavora. In molti ne approfittano per prendere le misure al primo mare della stagione. Tanti, soprattutto i più giovani, scelgono la gita fuori porta e le acque di Cefalù. L’appuntamento è alla stazione centrale di Palermo. Il treno è quello che parte poco dopo le nove, il Palermo-Sant’Agata. In pochi però riescono a trovare posto: il treno non è troppo lungo, sono appena un paio di vagoni, ma soprattutto è già pieno. Pieno di stranieri di ogni provenienza: bengalesi, cinesi, africani. Tutti accomunati da un voluminoso bagaglio a mano: portano con loro centinaia di parei, cappelli di paglia, palloni, occhiali da sole. È l‘esercito dei venditori da spiaggia, che parte da Palermo con il primo treno utile per poi scendere alla spicciolata, fermata dopo fermata, nelle località di mare toccate dalla strada ferrata, spingendosi fino ai Comuni più a Ovest del Messinese. 

In tanti si lamentano della loro presenza, più per l’ingombro che per ragioni di colore della pelle o di opportunità. I più, comunque, se la prendono con Trenitalia e la sua decisione di destinare una vettura così piccola per quel viaggio. Cala la sera, l’ultimo treno utile per tornare a casa parte attorno alle 19 ed ecco, ancora una volta, lo squadrone che si ritira, stremato. I volti sono bruciati dal primo sole, le mani affaticate. Molti dei venditori sono senza biglietto, così un controllore particolarmente zelante ne fa scendere un buon numero alla stazione di Castelbuono. Non ci sono altri treni dopo e non si sa se e come quelle persone siano riuscite a tornare a casa.

A fine agosto il vai e vieni degli ambulanti del mare è ormai una prassi. Ora i treni sono finalmente più lunghi e loro sono quasi tutti muniti di biglietto. Così, alle 9.22, puntuali, sono già in carrozza, pronti per distribuirsi su tutto il litorale. Un lavoro sfiancante: chilometri e chilometri macinati tra sabbia, sassi, asciugamano, ombrelloni e bambini che scappano al controllo dei grandi. Ancora una volta l’ultimo treno, quello delle 19, si riempie poco a poco, imbarcando fermata dopo fermata i pendolari abusivi: Sant’Agata, Tusa, Cefalù, Lascari, Campofelice, in ogni paese sale un piccolo gruppo. Portano in dosso la stanchezza di un’estate rovente, ma su quel treno si sentono ormai di casa, tanto che ormai non si contano i siparietti con gli altri pendolari: studenti, lavoratori, vacanzieri, che ogni giorno fanno lo stesso percorso. 

«Ma cosa significa questa parola? Sono due ore che non dice altro», chiede una ragazza al cingalese che le siede accanto indicando un suo connazionale che, a voce altissima, è al telefono da diversi minuti passeggiando nervosamente e ripetendo sempre la stessa espressione. «Significa “va bene”», risponde il connazionale interpellato. Un ghanese, seduto poco distante inizia a ridere e a gesticolare vistosamente con la mano libera, l’altra tiene il sacco con la merce. «Dice “va bene, va bene”, di sicuro parla con moglie!» e parte dello scompartimento si perde tra le risate. Un altro cingalese, un giovane, dorme stremato. «Poi si sveglia e cade», dice un compagno con una lunga barba bianca e molti anni in più. 

Ed effettivamente la previsione si verifica una volta superato il passaggio a livello di Brancaccio e imboccato l’ingresso della stazione capolinea. Il giovane, pantaloni lunghi e camicia a maniche lunghe, si alza di colpo e si accalca insieme agli altri verso l’uscita. Il treno frena e gli ambulanti, insieme a qualche altro sprovveduto passeggero, finiscono uno sopra l’altro. Tra questi c’è anche il ghanese, che indossa la maglia di un campione Nba ritirato almeno dieci anni fa. «Loro sanno che finisce così, ma hanno fretta di tornare a casa e lo fanno tutti i giorni», spiega l’anziano, che invece è rimasto seduto. Poi le portiere si aprono e anche lui, con calma, si aggiusta la barba, imbraccia il suo borsone pieno di cappelli e il suo zainetto rosa di Frozen. Saluta tutti con educazione e si precipita verso casa, ché tra nemmeno undici ore c’è un altro treno da prendere.


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