Sesso e degrado tra gli scavi del rione San Pietro «Senza parcheggiatori abusivi sarebbe discarica»

Sul cartello giallo che si riesce a scorgere oltre alla recinzione c’è scritto: Quartiere mussulmano degli Schiavoni (X secolo), Cinta muraria medievale, ritiro di suor Vincenzina. L’area archeologica di piazza XIII vittime è tutte queste cose. Racchiude in poco più di sette chilometri quadrati alcuni dei capitoli più intensi della storia di Palermo. Qui abitavano i pirati mercenari al soldo degli arabi – gli Schiavoni, appunto -, da qui si difendeva l’insediamento da prima che venisse edificato il vicinissimo Castello a Mare. Reperti, mura, ruderi, che ben si sposerebbero con la Palermo che vuole essere capitale della cultura, quella del percorso Arabo-Normanno tutelato dall’Unesco, ma che ancora restano abbandonati e chiusi, inaccessibili a turisti e appassionati. Almeno sulla carta.

Si entra da un buco nella recinzione, quasi all’altezza dell’angolo con via Cavour, di fronte alla caserma della guardia di finanza. L’ingresso ufficiale non è molto distante, tanto che il sentiero, una volta entrati nell’area, non tarda a presentarsi. Tra le sterpaglie e le piante che crescono incolte e soffocano i cartelli esplicativi che raccontano la storia del rione San Pietro, ci si imbatte in un vero e proprio tappeto di preservativi. Sono tantissimi, alcuni sembrano stare lì da tempo, altri sono stati gettati da poco. Durante la notte, infatti, la zona si trasforma. Si popola di prostitute. Una cosa frequente per la via che si trova nei pressi del porto. Prostitute che, in cerca dei propri spazi, si rifugiano spesso insieme ai clienti all’interno del parco archeologico dimenticato. E dire che appena un anno fa, alla presenza del sindaco e delle autorità cittadine, si inaugurava la nuova vita del rione San Pietro, ripulito e messo a nuovo, con la promessa che l’insediamento non sarebbe ripiombato nell’oblio. Così non è stato.

«Siamo stati noi a pulire e prenderci cura dell’area, anche degli scavi» racconta a MeridioNews Maurizio Artale, direttore del Centro Padre Nostro di Brancaccio, che spiega anche i motivi di tale abbandono. «Se vi meraviglia lo stato in cui versa al momento – continua – provate a tornarci tra qualche mese». Il rione San Pietro, infatti, rientrava in un progetto portato avanti dal centro che fu di padre Pino Puglisi per il reinserimento dei carcerati. «Erano stati quattro detenuti del Pagliarelli e dell’Ucciardone a pulire tutta la zona nel 2015. Abbiamo portato via diversi camion pieni di immondizia e rifiuti di ogni tipologia, abbiamo potato le piante, tagliato l’erba. Avevamo grandi programmi, che purtroppo non si sono potuti attivare per la mancanza delle autorizzazioni da parte della Soprintendenza». Se da un lato, infatti, il centro gode delle convenzioni necessarie con il Comune e con le carceri, dall’altro sono mesi che dalla soprintendente arriva solo silenzio, nonostante le tante sollecitazioni, anche da parte di Palazzo delle Aquile. «Abbiamo provato con ogni mezzo a risolvere la questione, ma alla fine, complici anche i recenti, ripetuti, atti di vandalismo alla vicina pagoda Al Bab, abbiamo dovuto arrenderci. Col tempo le nostre energie si sono andate ad affievolire. Lavoravamo con quattro carcerati all’inizio, poi due…» infine la resa. «Ormai conosciamo bene la zona. Quel posto non è diventato una discarica a cielo aperto solo perché i parcheggiatori abusivi, per tutelare la propria attività, impediscono che vi si scarichino sfabbricidi e ingombranti. Avremmo voluto e potuto andare avanti – conclude Artale – ma siamo il Centro Padre Nostro, non possiamo agire nell’abusivismo».


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