Nell'operazione Skanderbeg il nome di spicco è quello di Michele Lorenzo Schillaci. Ex riferimento del clan Nizza poi estromesso per uno sgarro d'amore a uno storico affiliato. Tra i documenti, gli appunti con i soldi per i detenuti. Per loro fino a 2500 euro al mese
Schillaci l’albanese e il libro mastro degli stipendi Il dialogo: «Il quartiere è quartiere. Qua ci sono io»
Il rumore delle sirene e il via vai di macchine dei carabinieri a San Giovanni Galermo sembra già un ricordo lontano. Sono passate meno di 24 ore dalla maxi operazione antimafia Skanderbeg e da queste parti tutto sembra essere tornato quasi alla normalità. Facce di giovanissimi si ripararono sotto gli androni dei palazzi in attesa dei clienti a cui piazzare le dosi di cocaina o marijuana. Gli affari, almeno per oggi, vanno a rilento – forse anche a causa della pioggia – ma è già tempo di riorganizzarsi in quella che è a tutti gli effetti una delle più grosse piazze di spaccio della Sicilia. Merito non solo di vedette e pusher ma anche di «una peculiare conformazione urbanistica che rende l’area facilmente controllabile», come si legge nelle oltre 700 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato a una lista di 101 persone indagate, di cui 80 in carcere e nove agli arresti domiciliari.
Il cuore dello spaccio è la storica
via Capo Passero, accessibile soltanto da tre ingressi all’interno di un lungo corridoio tra palazzoni che si susseguono e motorini, messi a disposizione dal clan, e fatti sfrecciare a tutta velocità. In questo complesso industriale della droga ad avere un ruolo determinante sono le vedette. Quelle fondamentali di solito stanno nascoste dentro gli appartamenti o nelle terrazze dei palazzi. Lavorano per una paga di 50 euro al giorno, restando in contatto tra loro con radiotrasmittenti e cellulari. Quando parlano utilizzando rigorosamente parole in codice – come Leo o rotonda – per segnalare l’eventuale arrivo di macchine sospette o delle forze dell’ordine. Secondo l’inchiesta dei carabinieri della compagnia di Fontanarossa, coordinati dalla procura di Catania, in quest’area ci sarebbero dodici piazze di spaccio. Ognuna accanto all’altra, controllate in maniera autonoma da singoli gruppi criminali ma con una regia unica: quella del gruppo mafioso Nizza, inserito nella famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano. Il sistema di vedette, stando alle carte dell’indagine, sarebbe stato gestito in comune tra tutte le varie piazze di spaccio.
E se una volta a gestire gli affari ci pensavano i fratelli Nizza in persona – l’ultimo a essere stato catturato è Andrea nel 2017 – a prendere il loro posto, almeno fino al 2019, sarebbe stato
Michele Lorenzo Schillaci, detto l’albanese. Da qui potrebbe derivare il nome dell’operazione che rimanda a Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, condottiero e patriota ma che in Albania è un figura positiva. Schillaci sarebbe stato l’uomo guida a San Giovanni Galermo perché «il quartiere è quartiere. Qua sopra ci sono io e chiamano a me!», diceva mentre era intercettato. A novembre 2019, quando le forze dell’ordine andarono a perquisire la sua casa in via Fratelli Gualandi, venne scoperto un vero e proprio tesoro. Oltre a 62mila euro in contanti e ai verbali da collaboratore di giustizia dell’ex boss Fabrizio Nizza, gli inquirenti trovano una dettagliata contabilità degli stipendi da inviare agli affiliati detenuti.
Ai capimafia con ruolo di vertice come Daniele e Andrea Nizza sarebbero spettati 2500 euro; mentre 800 euro sarebbero stati destinati agli affiliati di secondo piano. Dal manoscritto, la somma complessiva si sarebbe aggirata intorno a 40mila euro. Alcuni nomi, come quelli di Silvio Corra, Francesco Conte e Marco Romeo, erano invece sbarrati. Segno che dopo la scarcerazione non avrebbero più goduto dello stipendio in carcere. Oggi, però, Schillaci non farebbe più parte del clan Nizza. Di questo è sicuro proprio Corra, genero del defunto Angelo Santapaola e da qualche mese transitato nelle fila dei collaboratori di giustizia. «Si è intascato i soldi delle piazze di spaccio – si legge in uno dei verbali dell’inchiesta – ristrutturando la sua abitazione in via Fratelli Gualandi e sia perché ha lasciato sua moglie per intrattenere una relazione sentimentale con la donna di uno storico affiliato». Un fatto imperdonabile anche per chi era diventato il condottiero simbolo di ben dodici piazze di spaccio.