Scarcerazione della ricercatrice libica, scontro con la Procura Ufficio Gip: «Dichiarazioni di Lo Voi avventate e inopportune»

Le polemiche erano nate subito dopo la decisione del Gip Fernando Sestito di scarcerare Khadiga Shabbi, la dottoranda libica arrestata domenica per istigazione al terrorismo. Una decisione che aveva trovato in disaccordo i pm della Procura di Palermo che coordinano le indagini, Francesco Lo Voi, Leonardo Agueci e Gery Ferrara i quali avevano annunciato di fare ricorso.  Il procuratore capo  Lo Voi aveva giudicato la scarcerazione della studiosa «una misura inadeguata e contraddittoria» e per questo oggi è arrivata la dura replica dei vertici dell’ufficio Gip, il Presidente Cesare Vincenti e il Presidente aggiunto Gioacchino Scaduto.

«Con riguardo alla vicenda, la Procura della Repubblica ha reso dichiarazioni “siamo sconvolti, misura inadeguata, contraddittoria e contraria alla più recente giurisprudenza” che non esitiamo a considerare avventate ed inopportune sotto un duplice profilo  scrivono i due giudici -. Anzitutto esse delegittimano oggettivamente il lavoro e la funzione del Giudice per le indagini preliminari, il cui intervento nel procedimento è stato previsto dal legislatore a tutela e garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, italiani o stranieri che siano, e per non lasciare la Polizia Giudiziaria, che svolge il suo lavoro in modo encomiabile ma che, appunto, è Polizia, arbitro degli stessi.  Solo e soltanto il Giudice, e non certo la Procura della Repubblica, che ha la legittimazione per valutare se sussistano i presupposti di legge per eseguire un provvedimento di fermo – presupposti che nel caso concreto il Giudice ha ritenuto del tutto assenti -, se sussistano ed in che misura gli indizi del reato e se ed in che misura sussistano esigenze cautelari da tutelare con una qualche misura restrittiva – scrivono nella nota -. Le sue decisioni sul punto sono poi sottoposte al vaglio di altri giudici in secondo grado». E aggiungono: «In secondo luogo le succinte dichiarazioni della Procura, ampiamente diffuse dalla stampa, cartacea e on line – che ne fornisce personali e non sempre aderenti interpretazioni – rischiano di creare nell’opinione pubblica un allarme ingiustificato, di cui in questa fase storica non si sente affatto il bisogno – dicono ancora Vincenti e Scaduto -. La donna, infatti, non è accusata di atti di terrorismo o di associazione terroristica in collegamento con esponenti di gruppi terroristici o foreign fighters, come potrebbe intendersi, ma soltanto di un reato di opinione: l’avere cioè espresso il suo personale apprezzamento nei confronti dell’ideologia di gruppi ritenuti terroristici, manifestazione del pensiero che può diventare reato solo se resa pubblica».

I due giudici spiegano ancora la scelta del Gip Sestito:  «Il Giudice, inoltre, unico soggetto a ciò legittimato, ha valutato che nei limiti di quanto emerso nel momento in cui la Procura ha deciso di intervenire rendendo pubbliche le indagini, la posizione della donna, il ruolo della stessa nella vicenda, la gravità del reato commesso, non giustificassero l’adozione di misure cautelari di tipo detentivo che, peraltro, lo stesso legislatore con le ultime riforme ha inteso fortemente limitare. In ragione di tutto ciò  – continuano – riteniamo necessario, al fine di una migliore comprensione dei fatti da parte della pubblica opinione, ribadire che il Giudice, per il ruolo assegnatogli dalla Costituzione e dalla legge, non può, a garanzia di ogni singola persona, cittadino o straniero che sia, ma anche della collettività, indulgere a semplificazioni, ad emozioni o a precarie suggestioni esterne. Siamo  tutti sconvolti dalle tragiche vicende terroristiche di questi ultimi tempi  – prosegue la nota – che, dopo avere devastato buona parte del Medio Oriente, hanno colpito assai più vicino la nostra Parigi; ma questo non deve farci perdere la capacità di distinguere caso da caso e di valutare con freddezza ed oggettività – alla luce dei principi costituzionali e dei parametri di legge – i fatti che vengono sottoposti alla nostra valutazione».


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