Rubrica/ Il cucchiaio nelle orecchie. A Tusa dove Il Foglio non arriva

A Tusa Il Foglio non arriva, “né sanno cosa sia”, mi dice l’edicolante della stazione della frazione marina, “ad agosto sino a poco tempo fa lo chiedeva qualche villeggiante forestiero, oggi non ci provano nemmeno”. A 450 metri sul cocuzzolo, a 3 chilometri in linea d’aria dal mare c’è il paese messinese, dunque non proprio entroterra siciliano. Lì non lo sa nemmeno l’edicolante cosa sia Il Foglio. Utilizzo come parametro il quotidiano di Ferrara, perché stigmatizza una tipologia di lettore medioalto che ai tempi di Benjamin Franklin si sarebbe detto intellettuale.

Oggi la storica distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale non sta più esattamente nei termini descritti dallo scienziato americano, anche se una certa manualità, riferibile soprattutto all’allevamento della bestia informatica può benedirsi nuova manualità e continuare a connotarsi come sottrazione dell’autonoma attività di pensiero. La velocità di connessione non è sinonimo di miglior pensiero, anzi prefigura un processo inversamente proporzionale molto simile, per esempio, al decadimento cerebrale indotto dall’alcolismo. Wikipedia è l’esempio facile facile: supportato dal concetto di democrazia dal basso ha trasformato il mondo in un comodo Bignami. Non a caso tra i ragazzi tusani Wikipedia è il sito più conosciuto, contestualmente restano a loro sconosciute le app e i siti dei giornali: “ma sono quelli a pagamento” mi spiega uno di loro, “ora ci manca che devo pagare pure internet”.

Dunque è come se a Tusa non ci siano più teste pesanti, ma mani leggere che cercano e trovano esattamente quanto devono trovare. Non leggono, cercano. Chiamiamoli manovali del pensiero. Non intellettuali. Gli unici che si fregiano di questo titolo, in paese, si nutrono in proprio, alimentati da obiettive turbe psichiche o da tradizioni orali e archivi familiari. I politici locali, gli unici forse che leggono il Giornale di Sicilia e, ogni tanto, una o due copie di Repubblica usurano solo le pagine della cronacopolitica.

Il Foglio, invece, arriva e viene letto a Termini, a Cefalù, a Palermo e nei più grandi comuni che oltrepassano la soglia delle 15000 anime e il cui afflusso demografico è paragonabile a un vero e proprio esodo intellettuale. In Sicilia si legge, compatibilmente con il pil di decrescita di lettori nazionale. Ma in quale Sicilia? Solo in quella multicentripeta che storna periferie, paesi, entroterra. Che peso dare alla curiosità intellettuale se localizzata nei grossi centri, all’abbandono di una strategica politica di rete territoriale, al mancato decollo dei famosi e fumosi itinerari agrituristici, alle scelte autoerotiche di piazzare le veneri in pertugi irragiungibili come il centro di accoglienza Morgantina. A Tusa, come in una rilevante percentuale di paesi siciliani, le difficoltà di navigazione in rete, di parlare satellitare per incapacità dei ripetitori di potenziare il segnale sono una regola che giustifica probabilmente il pensiero lento contadino ma non lo protegge dall’esodo, dalla perdita di agio che la Sicilia potrebbe ricavare se fosse governata da chi pensa che non esistono solo le città.

Oggi pare lo pensino solo i ridotti e amabili cacciatori domenicali, unici difensori e conoscitori dell’ambiente, per il resto con chi parli è un volere andare via, verso il sole dei centri più urbanizzati. Anche Antonio Presti, mecenate e attuat(t)ore di uno dei centri d’arte contemporanea che insistono sul territorio siciliano – La Fiumara d’arte che ha come riferimento geopolitico l’Atelier sul mare di Castel di Tusa – ha dovuto polarizzare la sua attività a Catania, penalizzato dalle ganasce della burocrazia generale e dalla mafia, lui dice, ma anche da un irreversibile processo di assuefazione al disagio, alla accettazione dei disservizi, alla legge del non leggere. 450 metri sul cocuzzolo, 3 chilometri in linea d’aria dal mare.

 

 

 

Francesco Gambaro

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