Quattro anni di attesa, con tanto di scaramucce e tensioni tra ministero e Regione, ma alla fine la sentenza è arrivata: il Tar del Lazio ha annullato il Dpcm con cui nel 2016 l’allora premier Matteo Renzi dava seguito ai contenuti del decreto Sblocca Italia che, due anni prima, aveva messo mano al settore dei rifiuti disponendo il potenziamento della quarantina di inceneritori attivi in Italia e la costruzioni di altri impianti in giro per il Paese. Una decisione che da subito non aveva accolto i favori del mondo ambientalista, ma che era stata motivata con la necessità di chiudere un ciclo – quello della spazzatura – che, allora come oggi, resta lontano dagli obiettivi fissati dalla normativa europea. Ad accogliere con soddisfazione la notizia è stata ieri l’associazione Rifiuti Zero Sicilia che è intervenuta nel ricorso alla giustizia amministrativa. «Lo diciamo da tempo e adesso anche i giudici ci hanno dato ragione – commenta a caldo la presidente Manuela Leone -. Quando si parla di impiantistica strategica non è accettabile che le soluzioni vengano calate dall’alto, ma serve confrontarsi con i territori. Così facendo, magari, si eviterebbero ricostruzioni dei fabbisogni che non rispondono alla realtà».
Il riferimento è alla quantità di rifiuti che, secondo il ministero dell’Ambiente, la Sicilia dovrebbe incenerire ogni anno: 690mila tonnellate, da gestire con almeno due impianti da realizzare possibilmente uno nella parte orientale dell’isola e un altro in quella occidentale. L’indicazione, l’anno scorso, era stata ribadita dal governo nazionale a guida M5s-Lega con tanto di reprimenda al governo Musumeci che nella bozza di piano rifiuti regionale non aveva fatto menzione agli inceneritori. A tal proposito, il pronunciamento del Tar Lazio è arrivato nel giorno in cui alla Regione si è tenuta un’importante riunione per definire gli ultimi accorgimenti prima di inviare la versione finale del piano di gestione alla commissione tecnisco specialistica, l’organo che sarà chiamato a esprimersi su uno strumento che in Sicilia si attende da oltre vent’anni. Ovvero da quando le Regioni hanno la competenza sulla gestione del ciclo dei rifiuti. «Siamo alle battute finali, il piano potrebbe entrare in vigore entro la fine dell’anno», è il commento che ieri sera trapelava dagli uffici palermitani.
In ogni caso, affermare che la sentenza di ieri – la seconda in termini temporali, dopo quella che qualche tempo fa aveva accolto i rilievi della Regione Marche dando torto al ministero – unita al piano regionale siano condizione sufficiente a escludere la realizzazione di inceneritori in Sicilia sarebbe un azzardo. I motivi sono innanzitutto due.
Il primo rimanda a quanto affermato dallo stesso tribunale: i giudici hanno stabilito che il ricorso agli inceneritori di per sé non contraddice il principio della gerarchia che prevede che lo smaltimento sia l’ultima delle priorità quando si gestiscono i rifiuti, dovendo privilegiare innanzitutto strategie che puntino a ridurre la produzione della spazzatura e poi altre che incentivino il riciclo e il riutilizzo. Per il Tar, però, il piano inceneritori doveva essere proceduto dalla valutazione ambientale strategia. Vas che il ministero ha ritenuto posticipare alle fasi di progettazione dei singoli impianti. Questo significa che, in linea teorica, il governo nazionale potrà rimettere mano all’iniziativa valutando però preventivamente le conseguenze ambientali degli inceneritori.
Il secondo motivo, invece, attiene agli obiettivi perseguiti dal piano di gestione dei rifiuti. Tra questi non c’è quello di vietare o consentire l’applicazione di una tecnologia, bensì quello di indirizzare gli enti deputati alla pianificazione dell’impiantistica – oggi le Srr, domani forse le Ada – a soddisfare i fabbisogni dei territori. Ovvero, stabilire innanzitutto quanta spazzatura ogni singolo territorio dovrà gestire. In tal senso, l’orientamento del governo Musumeci è quello di puntare su ambiti provinciali. Questo aspetto, però, è tutt’altro che secondario, anzi potrebbe rivelarsi fondamentale per fare una selezione naturale dei progetti che potranno sperare di ottenere le autorizzazioni necessarie alla realizzazione e alla entrata in funzione delle opere. Infatti, ponendo limiti territoriali alla provenienza dei rifiuti – fatto questo che, con la gestione emergenziale del settore, è sempre stato impossibile – qualsiasi imprenditore sarà portato a riflettere se l’investimento sia sostenibile. Insomma, se il gioco, che rispetto al passato si prospetta più complicato, varrà la candela.
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