Rifiuti, due grandi termovalorizzatori e 5-6 più piccoli Ma Crocetta spera ancora nelle tecnologie più pulite

«Per favore, chiamatela valorizzazione». Ci tiene, Rosario Crocetta, a precisare che non vuole i termovalorizzatori in Sicilia, anche se sa bene che si troverà costretto a farli. La palla passa così alle Srr (Società regolamentazione rifiuti), che dovranno valutare le proposte pervenute una volta che la gara a evidenza pubblica sarà resa nota, «entro l’anno», assicura il direttore generale del dipartimento Acque e Rifiuti, Maurizio Pirillo.

I luoghi in cui costruire i nuovi impianti, che si occuperanno dell’ultima fase del ciclo dei rifiuti, sono stati individuati in tutte quelle aree «a vocazione impiantistica» assicura Vania Contrafatto. Insomma, non saranno contaminate nuove aree, ma gli impianti di valorizzazione dei rifiuti potranno sorgere nelle discariche esistenti, nelle ex discariche, nelle aree industriali. In tutte quelle zone, «circa duecento» secondo le stime di Pirillo, che bisognerà comunque provvedere a bonificare.

Il piano di Crocetta è chiaro: due impianti di valorizzazione da 200 tonnellate a Palermo e Catania e «altri cinque o sei da 60-80 tonnellate per garantire una distribuzione regionale abbastanza equa e abbattere i costi di trasporto. Non abbiamo messo la parola termovalorizzazione nel piano, perché i meccanismi di valorizzazione dei rifiuti sono molteplici: dalla gassificazione all’idrosoluzione. Vogliamo applicare la tecnologia più pulita».

Chi vorrà farsi avanti potrà presentare i progetti più all’avanguardia sul fronte del trattamento del rifiuto secco indifferenziato. A determinare la scelta degli impianti sarà poi una valutazione complessiva, che terrà conto, sì, della tecnologia utilizzata, ma anche dell’impatto ambientale e – non ultimo – dei costi di conferimento per i Comuni. E i più maligni sussurrano già che, nonostante Crocetta linguisticamente tenti di allontanare l’immagine dei termovalorizzatori, potrebbero essere proprio quelli gli impianti più competitivi rispetto alle nuove tecnologie, ancora poco rodate.

Come per gli impianti ad acqua supercitica, che consentono la liquefazione dei rifiuti e la loro successiva valorizzazione. Si tratta di una tecnologia messa a punto nel Parco scientifico e tecnologico della Sicilia, una società partecipata all’88 per cento dalla Regione. Tecnicamente si crea una condizione in cui l’acqua non si trova né allo stato liquido né gassoso, assumendo quindi comportamenti anomali che innescano questo tipo di reazione. Le condizioni perché questo tipo di reazione avvenga sono tra le 200 e le 250 atmosfere, a temperature inferiori rispetto a quelle prodotte nei termovalorizzatori o nei cementifici, tra i 600 e i 700 gradi centigradi. «Negli impianti di termovalorizzazione – ha spiegato a Meridionews il presidente del consiglio d’amministrazione della partecipata, Roberto D’Agostino – si genera un calore che supera i mille gradi e che inevitabilmente produce diossina. Mantenendo invece le temperature a livelli inferiori, si riesce a evitare la produzione di sostanze tossiche».

Ma se gli impianti per l’ultima fase del ciclo del rifiuto sono ancora lontani dal vedere la luce, una minaccia molto più impellente disturba il sonno dalle parti di palazzo d’Orleans. Gli impianti di compostaggio, come più volte evidenziato dagli addetti ai lavori, non sarebbero sufficienti una volta avviata a pieno regime la differenziata. Ma Crocetta ridimensiona l’allarme: «Con la semplice raccolta differenziata – ha sottolineato – l’impiantistica sarebbe sufficiente per diversi anni». Intanto, la vera emergenza resta una: far partire la differenziata. Senza quella, entro la fine dell’anno la Sicilia potrebbe ritrovarsi letteralmente sommersa dai rifiuti.

Miriam Di Peri

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