Una campagna elettorale in pantaloni. È quello che – letteralmente – succede alle donne che fanno politica. Un po’ perché la politica è un mondo di uomini, fatto da uomini, con codici assolutamente maschili. Un po’ perché essere donna richiede anche più tempo e i ritmi di una campagna elettorale poco ne lasciano libero: per i compiti di cura, spesso a carico delle sola parte femminile delle famiglie, “ma anche per l’estetista”, ammettono in molte.
Abbiamo raccontato appena qualche giorno fa, numeri alla mano, in che modo le donne abbiano faticato più che in altre tornate elettorali a ritagliarsi uno spazio nelle liste. Ma oltre i numeri, appunto, ci sono i volti e le storie di coloro che ogni giorno si giocano una partita in cui il rischio di essere tagliate fuori è altissimo.
«Se c’è una donna, c’è un posto in meno per un uomo». Ammette Liliana Modica, del Partito democratico di Messina, finita inizialmente nelle liste dem sullo Stretto a sua insaputa e poi depennata. «Non avrei avuto alcuna chance di essere eletta, sarebbe stata una candidatura di servizio, ma non potevo per un impegno personale che mi tiene occupata tutte le mattine. Le candidature di servizio comunque non vanno bistrattate, c’è chi vuole competere per vincere, chi per partecipare e dare il proprio contributo all’interno di un percorso comune, non vanno stigmatizzate. Dovremmo dire alle donne di votare donne, perché siamo in maggioranza – aggiunge -. Dovremmo avere più fiducia in noi stesse. Come cambieremmo tutto, se le donne votassero donne?».
«Mi considero una privilegiata – ammette invece Marianna Caronia, candidata nelle fila di Forza Italia -. Ho una famiglia che mi ha sempre sostenuta. Ma ancora oggi c’è un pregiudizio di genere fortissimo, l’emendamento alla legge elettorale sulla doppia preferenza di genere all’Ars è stata bocciata più volte, sia in questa legislatura che nella precedente. Il fatto che sia passata sulla legge elettorale delle amministrative è forse l’unica nota positiva del governo Crocetta, ma non basta. Fare politica per una donna comporta rinunce considerevoli sulla vita privata, io sono una madre». Insomma, Caronia non ha dubbi: «Un uomo di media capacità viene preferito a una donna brillante. Quando mi definiscono un uomo in politica non mi sento offesa, però ammetto che essere donna è ancora una diminutio, siamo subite come la quota che va inserita».
«Siamo mal digerite – sottolinea ancora Mariella Maggio, candidata nella lista Cento Passi per la Sicilia -, come un numeretto necessario, le battaglie che abbiamo fatto nel 2014 sulla doppia preferenza di genere alle amministrative hanno portato frutti, ma sulle regionali è diverso. Meglio un tintu uomo – ironizza – che una buona fimmina. La politica degli uomini – aggiunge Maggio -, il loro modo di fare politica non è il nostro. Nel momento in cui non ragiona come loro, bene che vada la donna è considerata una scema».
«Non è possibile – incalza Alice Anselmo, candidata nelle liste del Pd – che non si possa pensare a una politica che rispetti le esigenze di una mamma. Per esempio, chi vuole parlare con me lo può fare dalle 9 alle 21, perché devono parlare con me di notte? Perché le riunioni politiche si devono fare di notte, quando mio figlio invece ha il diritto di stare con me? La legge sulle quote rosa è stata formalmente rispettata, ma non sostanzialmente, la prossima Ars non sarà fatta di donne. Per entrare e rompere il sistema, la doppia preferenza di genere è l’unico modo. Non è la soluzione, ma per fare una breccia nel muro di cemento armato, serve uno strumento». Un sentimento comune a tutte le donne che fanno politica, quello dell’utilità della doppia preferenza di genere. «Ho a lungo caldeggiato la legge sulla doppia preferenza – ammette ancora Caronia -, ma sempre partendo dalla prospettiva che si tratti di una legge a termine. Quando si potrà abrogare la doppia preferenza di genere avremo raggiunto il nostro obiettivo».
A fare sapere a MeridioNews che non ci sta a essere definita riempilista è Maria Rosaria Coletti, candidata in provincia di Agrigento con Alternativa Popolare: «Solo le donne con un nome già noto sono degne di correre in campagna elettorale? Dov’è il rinnovamento con volti nuovi? – scrive alla redazione – Io, come tante altre, non sto riempiendo un buco in una lista: ci è stato chiesto di impegnarci, come già lo eravamo prima nel ruolo professionale e nell’interesse della collettività. La malapolitica ha distrutto la speranza in ogni singolo cittadino ma noi, come candidate e anche madri, sentiamo la necessità di contribuire a costruire qualcosa di buono».
Di tutt’altro avviso, invece, il politologo Giancarlo Minaldi, secondo il quale alla base del fenomeno ci sarebbe «un livello del ceto politico che trovo sia scaduto enormemente. E in questo quadro per le donne diventa ancora più difficile l’accesso al mondo della politica. Il punto è che il sistema, per come lo conoscevamo, è saltato: un tempo la socializzazione politica e la conseguente selezione della classe dirigente avveniva nei partiti. Adesso sembrano tutti personaggi in cerca d’autore e ciò si riflette sulla reale accessibilità delle donne nei posti apicali della politica, come altrove nella nostra società».
Insomma, secondo il politologo, «la vera causa è la fine dei partiti politici come li abbiamo conosciuti e il livello delle dirigenze, che in fondo riflette questo stato di cose. L’unico vero partito che vedo in questo momento – va avanti l’esperto – è il Movimento Cinque Stelle, l’unico che mantiene ancora una disciplina interna. In più, questi ragazzi cinque anni fa sono partiti dallo stesso livello, erano ai nastri partenza insieme, uomini e donne, e hanno fatto un percorso simile. Per cui in quel contesto paritetico – conclude – emergono tanto le donne quanto gli uomini».
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