L’unica certezza è che il vero appuntamento è fissato per lunedì 5 dicembre, quando finalmente sarà il momento della resa dei conti. Un passaggio dagli esiti tutt’altro che scontati e che riguarda un po’ tutti: dal Pd all’Udc, passando per Sinistra Italiana e Movimento 5 stelle. Infatti, tutti i partiti impegnati nella campagna referendaria sono divisi, anche all’interno della stessa corrente politica, con spaccature che non risparmiano gli entourage dei singoli protagonisti della politica siciliana.
Qualunque sia l’esito del referendum sulla riforma costituzionale, i cocci si frantumeranno comunque il giorno successivo. A cominciare proprio dal Partito democratico. L’azionista di maggioranza del governo Crocetta vanta al suo interno innumerevoli prospettive intorno al quesito referendario. A cominciare dai renziani di ferro, capitanati dal sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, che si sono spesi e hanno investito tempo ed energie nella lunga campagna elettorale: da Vania Contrafatto a Baldo Gucciardi, tra gli assessori, a Luca Sammartino e Alice Anselmo, tra i deputati.
In una posizione antitetica, ecco i detrattori del presidente del consiglio, incoraggiati dalla presa di posizione di Pierluigi Bersani, intervenuto a gamba tesa nella campagna elettorale proprio dalla piazza di Palermo: è da lì che Giuseppe Zappulla, Mariella Maggio e Pino Apprendi hanno dato il via a una campagna in favore del no, al fianco della Cgil e dell’Anpi. In mezzo, i big della politica regionale, accusati più o meno apertamente di aver espresso un sì timido e poco convinto, senza avere mosso un dito, insomma, per convincere i propri elettori: dall’assessore regionale all’Agricoltura, Antonello Cracolici, fino al vicepresidente dell’Assemblea Regionale, Giuseppe Lupo, passando per Bruno Marziano, la cui posizione è rimasta ambigua, nonostante la presenza all’iniziativa di Bersani a Siracusa, immediatamente dopo la Leopolda e cori di protesta.
All’area più vicina a Gianni Cuperlo, da sempre scettico sulla riforma, ma rientrato dal momento in cui ha strappato al premier la promessa di una revisione della legge elettorale, viene attribuito il sospetto che le dichiarazioni di voto possano non essere confermate nel segreto delle urne. D’altronde, in linea di principio, il segretario del Partito, Fausto Raciti, potrebbe paradossalmente uscire rafforzato da una vittoria del no, che ridimensionerebbe all’interno del partito il potere acquisito da Faraone e i suoi. Anche se va detto che lo stesso Raciti ha presenziato di recente a una manifestazione per il sì a cui ha preso parte anche il relatore della riforma Emanuele Fiano. D’altronde basta guardare i profili social degli staff dei politici più tiepidi, per rendersi conto che anche i più vicini a Rosario Crocetta (ufficialmente vicino al sì) o a Leoluca Orlando (che ha espresso il suo no, pur scegliendo di non prendere parte alla campagna referendaria), non sono unanimi nell’orientamento di voto espresso dai loro leader.
Anche in casa centrista le spaccature emergono con l’avvicinarsi dell’appuntamento alle urne. E se l’area D’Alia, estromessa dall’Udc di Lorenzo Cesa, si muove compatta sul fonte del sì (e come dargli torto, dal momento in cui l’unico apparentamento politico credibile che gli resta è proprio vicino a Renzi), non è lo stesso invece tra gli ex cuffariani, orientati per il no. Complice, probabilmente, anche la vicinanza al figliol prodigo Fabrizio Ferrandelli – rimasto fuori dalla campagna referendaria, ma da mesi in corsa per le amministrative di Palermo – a saltare agli occhi è il sì di Saverio Romano, che non è da escludere possa incamminarsi verso un’interlocuzione proprio con D’Alia. Anche in casa cinquestelle non è da escludere che si attenda l’esito del referendum prima di qualsiasi presa di posizione sul caso delle presunte firme false, che hanno inevitabilmente frenato la campagna grillina.
Tutto ciò a riprova di come, in vista del 5 dicembre, gli scenari aperti siano molteplici. Molto dipenderà non soltanto dall’esito del voto, ma anche e soprattutto dalle percentuali. Una sonora sconfitta del sì, ad esempio, potrebbe smuovere le acque della politica siciliana (e nazionale) molto più di un esito vicino in termini percentuali tra i due fronti. Ma non è ancora tempo di scenari e spaccature. L’ultimo giorno di campagna elettorale è arrivato e con lui Matteo Renzi pronto per il gran finale in Sicilia.
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