Sicilia seconda dopo la Puglia nella poco gloriosa classifica dei reati ambientali. E la colpa, secondo Legambiente, è dei rapporti tra ecomafie e colletti bianchi. A collocarla sul podio è la stessa associazione, nel suo rapporto Ecomafia 2015, realizzato col contributo di Cobat ed edito dalla casa editrice Marotta e Cafiero. Sono, in tutto lo Stivale, 29.293 i reati accertati nel corso dello scorso anno, per un giro d’affari di 22 miliardi di euro. Infrazioni in aumento rispetto all’anno precedente: più 26 per cento nell’ambito dei rifiuti, più 4,3 in quello del cemento.
Sicilia protagonista in negativo, dunque, insieme a buona parte del meridione d’Italia. Nell’isola, le infrazioni accertate sono 3.797, il 13 per cento sul totale nazionale. Fa di peggio solo la Puglia con 4.499 infrazioni (15,4 per cento). Palermo, in questa speciale classifica, è la quinta città italiana con 830 violazioni accertate, pari al 2,8 per cento.
Nel campo del ciclo dei rifiuti, in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia si consuma il 54,7 per cento delle infrazioni accertate, quasi il sei per cento solo nell’isola. Riguardo al ciclo del cemento, le stesse regioni sono al 46,7 per cento, la Sicilia all’8,6 per cento. Palermo, Messina e Catania, in quest’ordine, sono i capoluoghi col numero più alto di reati. Nell’edilizia, la città dello Stretto fa registrare il due per cento delle infrazioni a livello nazionale.
«Purtroppo non c’è nulla di nuovo ed è questa la notizia peggiore – commenta Domenico Fontana, presidente di Legambiente Sicilia – è la riprova di come, da molti anni, non riusciamo a fare passi avanti nella lotta a questo fenomeno». Al di là dell’attività della magistratura e delle forze di polizia, secondo Fontana «è la politica a non essere stata capace di combattere le ecomafie. Tutta la politica, nel suo insieme – prosegue – negli anni ha lanciato messaggi contraddittori. Basti pensare alla politica dei rifiuti che, in Sicilia, non esiste. L’attenzione è stata concentrata sulle discariche. È molto grave non essere andati oltre l’attività di abbancamento».
La sensazione prevalente, per l’esponente dell’associazione ambientalista, è di «essere in presenza di un settore non governato». Lo stesso vale per le agromafie e per l’edilizia: «Non sono state costruite politiche che dessero la sensazione di un cambiamento profondo. Le mafie sono incentivate a investire in questo settore, decisamente più remunerativo di altri».
E attenzione alla corruzione in materia ambientale per la quale, dati alla mano, l’isola, con 28 inchieste, è seconda su scala nazionale dopo la Lombardia (31). «Parliamo di reati impossibili da realizzare senza la complicità dei cosiddetti colletti bianchi – fa presente Fontana – quindi di professionisti, istituzioni».
Unico motivo di sollievo, per Legambiente, è la legge 68 del 22 maggio scorso, che ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel codice penale: «La speranza è che questo 2015 sia uno spartiacque, l’anno in cui le ecomafie e l’ecocriminalità cominceranno a essere contrastati con gli strumenti repressivi adeguati».
«Si tratta di una gigantesca conquista – fa eco il presidente siciliano – ed è il motivo per cui abbiamo cominciato a produrre il rapporto. Ma sono occorsi 23 anni, ed è questo un indice dell’arretratezza del Paese e di quanto contino le coperture politiche sulle ecomafie. Non a caso, per l’approvazione della normativa, abbiamo dovuto superare resistenze insopportabili. La legge è passata dopo quattro letture. Si poteva fare una riforma costituzionale».
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