Il report di Pasquale Nania, ex responsabile del catasto siciliano dei rifiuti, presentato stamattina da Legambiente, mette le cose in chiaro. La dichiarazione dello stato di emergenza, la terza negli ultimi 17 anni, e il conseguente commissariamento, che ormai sembrano entrambi inevitabili, non sono la soluzione. Per questi anni di immobilismo e di inefficienza la politica ha le sue colpe, a partire, secondo il responsabile Sud di Legambiente, Domenico Fontana, da «una resa incondizionata tanto a scelte demagogiche quanto ad alcuni potentati economici come le multiutilities del nord che hanno nell’incenerimento il proprio core business. Emblematica delle prime – insiste l’ambientalista – è la restituzione ai comuni delle competenze sulla raccolta dei rifiuti che ha riportato la Sicilia indietro di oltre vent’anni», mentre «la più evidente rappresentazione dei secondi è la riproposizione da parte del governo nazionale, ma anche quello regionale non si è espresso contrariamente, del modello inceneritorista in un momento in cui in gran parte d’Europa questi impianti si avviano alla chiusura».
Il piano rifiuti dell’aprile 2010 avrebbe potuto risolvere diverse incongruenze del sistema, ma già a giugno l’allora governatore Raffaele Lombardo chiese al Consiglio dei ministri la dichiarazione dello stato di emergenza (la seconda dopo quella del 1999), durata fino a tutto il 2012. Lo stesso Lombardo venne nominato commissario. Tra il 2012 e il 2013, però, il piano viene rivoltato come un guanto per ben tre volte, separando la fase della raccolta dalla gestione dell’impiantistica ma soprattutto «riconsegnando la prima – scrive Fontana – ai singoli Comuni e riproducendo l’ovvio disinteresse per la gestione impiantistica affidata ai consorzi di scala provinciale. Disinteresse che ha causato la sostanziale paralisi delle Società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti (le Srr, nda). Oggi molti Comuni, in attesa di predisporre il piano dell’ambito di raccolta ottimale, abusano delle proroghe dei servizi appaltati dalle Ato in liquidazione. Liquidazione – si sottolinea nel documento – che forse durerà in eterno visto che si va di rinvio in rinvio. Il passaggio dagli Ato alle Srr, infatti, comporterebbe scelte dolorose sull’apparato clientelare che è stata l’unica cosa prodotta, assieme ai debiti miliardari, dagli Ambiti».
I DATI
Il fallimento del sistema siciliano dei rifiuti è tutto nei numeri. Secondo i dati Ispra elaborati da Nania, «la raccolta dei rifiuti urbani in Sicilia è da sempre effettuata in maniera prevalentemente indifferenziata, con percentuali massima e minima rispetto al totale raccolto stimate tra circa il 98 per cento (anno 1999) e l’87 per cento (anno 2013) e, in conseguenza, con un tasso trascurabile di raccolta differenziata. Esaminando l’andamento percentuale nel periodo che va dal 1999 al 2014 – si legge nella pubblicazione – si rileva che la media di raccolta differenziata della Sicilia è sempre stata più bassa della media nazionale e di quella meridionale, risultata nel 2014 più del doppio di quella siciliana (28,9 per cento contro 13,4 per cento e 31,3 per cento contro 12,5 per cento), nonostante nel 1999 le due percentuali fossero pressoché identiche (2 per cento contro 1,9 per cento)».
Una situazione che negli ultimi quindici anni è andata via via peggiorando, fino a raggiungere record disastrosi. «Nel triennio 2012-2014 la Sicilia, tra tutte le regioni, ha fatto registrare la più bassa percentuale, totale e pro capite, di raccolta differenziata, distante dagli obiettivi previsti dalla normativa», scrive Nania. A dare le risposte migliori in ambito provinciale, nel periodo 1999-2014, è stata «la provincia di Trapani passando dall’1 per cento al 24,2 per cento a fronte di un aumento medio regionale dall’1,9 per cento al 12,5 per cento». Considerando gli anni più recenti (dal 2010 al 2014) a segnare il maggiore incremento percentuale è stata invece «la provincia di Catania (+ 8,5 per cento) seguita dalle province di Ragusa (+ 6,6 per cento) e di Caltanissetta (+ 6,4 per cento), mentre la provincia di Trapani ha segnato un calo (- 2,5 per cento)».
Un altro dato preoccupante riguarda poi i Comuni con popolazione superiore a 200mila abitanti. «Nel 2014 Messina con 35 kg/abitante per anno, Palermo con 42 kg/abitante per anno, Taranto con 60 kg/abitante per anno e Catania con 61 kg per abitante per anno hanno realizzato le più basse percentuali di raccolta differenziata», sottolinea Nania. Per avere un metro di paragone, a Venezia nel 2014 la raccolta differenziata ha toccato la quota di 347 kg/abitante all’anno, pari al 61,5 per cento.
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