Quel battesimo di mafia al carcere Pagliarelli Boss come testimoni e la punciuta nella doccia

«Io c’ero, eravamo tutti al Pagliarelli, primo piano destro». Se la ricorda come fosse ieri, Antonino Pipitone, quella scena. Il boss di Carini, infatti, è uno dei tanti che assiste al battesimo di mafia di un nuovo affiliato. Anzi, di due. Sono i fratelli Stefano e Michele Marinoarrestati due giorni fa con l’accusa di essere i nuovi vertici della famiglia mafiosa di Brancaccio. Insieme a lui ci sono anche altri uomini d’onore che assistono: «Eravamo io, mio padre, Pietro Tumminia, uomo d’onore di Altarello, che proprio lui era quello che si lamentava pure per questa cosa perché non volevano, per il problema del padre dei Marino. C’era Ludovico Sansone, quello con il parrucchino, padrino di Michele, e Giovanni Asciutti, padrino di Stefano», racconta il pentito. Sono tutti lì, in quel momento, tutti detenuti. Chi proprio al Pagliarelli, chi altrove come Pipitone, che in quel periodo faceva avanti e indietro da Vibo Valentia per partecipare ai processi a suo carico.

«E c’era qualche altro oltre, però non mi ricordo – aggiunge -. Perché alcuni servivano come copertura per non fare capire niente all’assistente, perché è stata creata dentro la doccia, st’affiliazione. E alcuni erano dentro perché dovevano fare il rito della cosiddetta santina, ecco». Cioè il momento della punciuta vera e propria, quando il dito del futuro padrino viene punto con uno spillo e il sangue viene fatto scolare su un’immaginetta sacra, una santina appunto, che poi viene bruciata. Non tutti, però, erano d’accordo ad affiliare a Cosa nostra i fratelli Marino. Tempo prima, infatti, c’erano state parecchie rimostranze. «Per Brancaccio che ci sono stati vari discorsi, vari commenti – spiega Pipitone ai pm -. Questa affiliazione non si poteva fare, perché ai Marino gli avevano ucciso ai tempi il padre, non mi ricordo bene se è stato messo in un contenitore della spazzatura, qualcosa del genere. Comunque si commentava che questa affiliazione non si poteva fare. Parecchi uomini d’onore non volevano, il primo Nino Sacco», boss di Brancaccio, salito ai vertici del mandamento dopo l’arresto di Tonino Lo Nigro.

«Perché si parlava che c’era uno che stava scontando la pena all’ergastolo, Marchese – torna a dire -, che stava pagando proprio questo omicidio. E allora siccome dopo si è stabilito che ognuno a casa sua, nella propria zona, era libero di fare quello che voleva e hanno stabilito di fare l’affiliazione ai fratelli Marino». A metterci la buona parola per i due fratelli sarebbero i loro due padrini di affiliazione, Sansone, che sarebbe imparentato con loro, e Asciutti, «responsabile che aveva dato lo star bene». Sono tutti al Pagliarelli. «Si aspettava che si cambiava il piano per venire da noi e per potere creare questa affiliazione. Nino Sacco – spiega di nuovo l’uomo – l’aveva comunicata a tutti gli altri uomini d’onore che questa cosa non si poteva fare. E che non voleva neanche riceverli come uomini d’onore, per la conoscenza ecco». Ma alla fine, invece, la cerimonia c’è stata eccome. Senza intoppi, senza commenti. E senza soprattutto venire scoperti. «Si sono presi le proprie responsabilità e si è fatta. Però è stato un argomento discusso parecchio in carcere».

I dubbi, però, certi uomini d’onore non li hanno solo per la fine che ha fatto il padre dei fratelli Marino. A incidere ulteriormente anni dopo sulla loro ritrosia a quell’affiliazione, ormai avvenuta, è anche il fatto che uno dei due, Stefano, avrebbe deciso di patteggiare in un processo a suo carico. «Tutti dopo si sono lamentati, prima perché c’erano i problemi dell’affiliazione del fatto del padre, dopo lui si è fatto il patteggiamento, insomma, i soliti discorsi che per la mafia non sono buoni», spiega ancora Pipitone. Intanto i fratelli Marino di fatto sarebbero stati affiliati. Ma per lasciare, pochi anni dopo, quel trono tanto discusso di nuovo scoperto.

Silvia Buffa

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