Richiedono grande capacità organizzativa e spirito di adattamento, impongono a chi ci lavora ritmi più che serrati e turni, se necessario, anche di otto o dieci ore consecutive, seguite dai riposi compensativi. Sono i pronto soccorso siciliani, la prima struttura d’accoglienza e il biglietto da visita degli ospedali. Il personale in servizio nei reparti di emergenza-urgenza lavora spesso nell’ombra e difficilmente un paziente alla fine della sua piccola o grande odissea ricorderà il nome di chi lo ha seguito e curato. Una terra di nessuno in cui molto spesso finisce a lavorare chi deve accontentarsi di quella posizione, in attesa di raggiungere il reparto pertinente alla propria specializzazione. E a volte non con le giuste competenze. A maggio ragione in Sicilia: nel resto d’Italia infatti esiste già dal 2008 una specializzazione accademica cucita addosso ai reparti di emergenza, la Medicina e chirurgia di accettazione e urgenza, mentre nell’Isola partirà il prossimo anno per la prima volta all’Università di Catania.
In Sicilia quindi fino ad oggi non sono stati formati medici specializzati in questa materia, per cui gli utenti al pronto soccorso possono trovarsi davanti, a seconda del turno, un internista se va bene, ma anche un oculista, uno pneumologo, un otorino, un angiologo o un chirurgo vascolare, in media almeno cinquantenne. «Un turn over generazionale diventa indispensabile – racconta chi vive quotidianamente il caos di uno dei pronto soccorso più grandi dell’Isola -. I pochi ragazzi che si sono formati fuori e sono stati immessi nel mondo del lavoro qui sono medici altamente performanti, delle vere e proprie schegge in corsia». Ma coi concorsi in sanità bloccati da anni, questa immissione nel mondo del lavoro diventa sempre più lontana. Così ecco pronto un trolley ultraleggero e una postepay in tasca per partire alla volta di lidi più felici.
È il caso di Simone, 29 anni, specializzando in Chirurgia generale a Catania, che ha scelto di consolidare la sua formazione in un trauma center di Bologna. «La mia scelta – racconta a MeridioNews – è ricaduta sul capoluogo emiliano perché lì c’è un diverso sistema organizzativo rispetto a quello siciliano. E poi nella nostra Regione non esiste un vero e proprio trauma center e io volevo acquisire maggiori competenze proprio nel campo della chirurgia del trauma. Tornare giù in Sicilia? Sono innamorato della mia Catania, sarei felice di poter rientrare, ma soltanto trovando la giusta collocazione lavorativa, altrimenti i sacrifici legati alla mia formazione andrebbero vanificati».
In questa branca della medicina il processo di crescita nel resto d’Italia è stato molto rapido negli ultimi quattro o cinque anni. E la Sicilia non è riuscita a stare al passo con la rapida evoluzione. «La scuola di specializzazione e l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro – ammette un medico di pronto soccorso – consentirebbe un processo di crescita formativa e culturale in un ambito in cui è cambiato l’approccio al paziente di emergenza e urgenza. Lavorare in pronto soccorso richiede apertura mentale, energia e cultura, mentre succede spesso di trovare in corsia medici con vent’anni di anzianità di servizio, che si sentono spremuti come limoni, che faticano a reggere i ritmi. Insomma, senza i concorsi e le nuove immissioni nel lavoro si perde un’occasione importante».
E se è vero che esistono piccole realtà con cinquemila accessi l’anno (come nel caso di Militello), che probabilmente con la nuova rimodulazione dei posti letto verranno accorpate, i grandi centri di accettazione arrivano a accogliere considerevoli flussi di utenti, con picchi di 60mila accessi l’anno (Siracusa) o 90mila (Palermo).
Tutte emergenze? Affatto. Ma a giustificare una media in alcuni casi anche di 250 accessi quotidiani è, da una parte, la carenza di risposte al bisogno di salute da parte dei territori, dall’altra le conseguenze della crisi economica. Rivolgersi a un pronto soccorso significa usufruire gratuitamente – e superando le liste d’attesa – di esami diagnostici specifici, in un tempo relativamente breve che di solito si assesta intorno alle 24-48 ore. Insomma, maggiore è la crisi economica, maggiore sarà l’utilizzo opportunistico dei pronto soccorso. Il vero problema è nel momento in cui il paziente deve essere ricoverato, in una situazione in cui la media (questa volta nazionale, non soltanto regionale) è attorno a 3,5 posti letto per mille abitanti, ben al di sotto dei 7 in Francia e degli 8 in Germania.
La rimodulazione dei posti letto in base al decreto Balduzzi potrebbe risolvere la situazione? In molti, tra le corsie siciliane, fanno spallucce, ritenendo comunque insufficiente l’offerta sanitaria rispetto alle richieste che arrivano dal territorio. Certo, consentirebbe finalmente lo sblocco dei concorsi ormai indispensabili per una migliore gestione dei reparti di emergenza e urgenza, spesso ormai al collasso. «Ma non sarebbe la panacea di tutti i mali – ammettono, a denti stretti, in molti in corsia -. Se non riparte la medicina del territorio e si riducono gli accessi in pronto soccorso, difficilmente miglioreranno le cose».
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