Processo trattativa, il boss Graviano non risponde Restano i dubbi sui presunti legami con Berlusconi

«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». Con questa frase, pronunciata in videocollegamento dalla casa circondariale di Terni, il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano ha deciso di non sottoporsi a nessun interrogatorio. Non chiarirà, non oggi almeno, i dubbi in merito alla circostanza che ha reso necessaria la sua audizione davanti alla Corte d’Assise di Palermo, cioè l’interpretazione di una parola pronunciata dal capomafia durante una conversazione col compagno di ora d’aria Umberto Adinolfi risalente al 10 aprile 2016. Durante l’udienza di ieri nell’aula bunker dell’Ucciardone, dove si celebra il processo sulla presunta trattativa fra Stato e mafia, è stata ascoltata la conversazione: secondo i periti nominati dai pm il boss direbbe «Berlusca…mi ha chiesto questa cortesia». Mentre secondo i consulenti della difesa di Marcello Dell’Utri la parola pronunciata sarebbe «benissimo» o «bravissimo», non ci sarebbe dunque alcuna allusione all’ex premier. Salterebbe, in questo modo, l’ipotesi del presunto scambio di favori tra Berlusconi e Cosa nostra

Chiarimenti che, però, il boss di Brancaccio nega di fornire. Malgrado lui stesso in passato, in una circostanza simile, abbia dichiarato che avrebbe, a tempo debito, preso la parola davanti ai magistrati palermitani. Si sperava che quel giorno fosse oggi e che Graviano desse conto di quanto sentito nelle venti conversazioni intercettate e ammesse al processo lo scorso luglio. Ma ha smorzato subito l’atmosfera, negando anche il consenso a essere ripreso dalle numerose telecamere accorse oggi all’Ucciardone per immortalare le sue dichiarazioni. Un’udienza lampo, insomma, che potenzialmente invece poteva essere qualcosa di completamente diverso. Finisce tutto in sordina, con l’avvocato Basilio Milio, legale di Antonio Subranni e Mario Mori, che si oppone all’acquisizione dei documenti prodotti dall’accusa, perché atti risalenti al 2015 ma depositati solo adesso. Documenti che comporterebbero la necessità di citare nuovamente testimoni già sentiti al processo, per porgli delle nuove domande. Osservazione, quella di Milio, alla quale si sono accodati anche gli altri difensori.

Si chiude tutto in meno di mezzora, quindi, ma i dubbi rimangono. Specie sui presunti favori che l’ex presidente del Consiglio Berlusconi avrebbe ricevuto da Cosa nostra e il comportamento che il politico, una volta raggiunto successo e potere, avrebbe avuto nei confronti della cosca di Brancaccio. «Questo ha iniziato con i piedi giusti e si è ritrovato a essere quello che è», dice sempre Graviano di Berlusconi mentre passeggia con Adinolfi durante l’ora d’aria. Stavolta è il 19 gennaio 2016, data della prima intercettazione ammessa dal presidente Alfredo Montalto. «Aveva tanti valori, idee giuste, era cercato e aveva le agevolazioni, il terreno spianato. Quando lui si è ritrovato ad avere, grazie a diversi… – ma lascia in sospeso la frase, per poi continuare – Un partito così nel ’94, lui si è ubriacato, lui dice “non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato”. Mi sono spiegato?». Il tono cambia subito e dal suo racconto emergono amarezza e delusione: «Pigliò le distanze e ha fatto il traditore», dice ancora, bisbigliando. «Dopo che lui ha avuto tutto nelle mani… Alla fine ha finito di rovinarsi con la pedofilia, con la prostituzione. Lo conosco bene – continua, abbassando il tono della voce – Ma non ci sono più gli strumenti, non c’è bisogno di niente. Umbè, basta! Non possiamo…ti dico solo che mi trovo in carcere da innocente».


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