«Evidentemente reticente». È così che la presidente della corte ha definito Giambattista Perelli. L’ufficiale dell’esercito in pensione dal 2004 che questa mattina è andato a testimoniare all’udienza del processo per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri che si sta svolgendo nel tribunale di Pisa. La città in cui si trovava la caserma Gamerra dove, ai piedi di una torretta di asciugatura dei paracadute, il 16 agosto del 1999 fu ritrovato il cadavere del 26enne. Classe 1953, Perelli dal 1973 per 31 anni è rimasto in servizio alla Gamerra. All’epoca dei fatti, era il capitano della terza compagnia del reparto corsi, quella di cui facevano parte anche i due imputati di questo procedimento, Alessandro Panella e Luigi Zabara. E anche di Andrea Antico, il sott’ufficiale che è stato assolto in primo grado insieme agli ex ufficiali della Folgore Enrico Celentano e Salvatore Romondia che, invece, erano accusati di favoreggiamento.
«Resto convinto – ha detto Perelli nel corso della sua audizione – che Scieri sia morto per un incidente autonomo, cadendo da solo dalla scala su cui era salito, e che nessun altro sia coinvolto in quell’episodio». Una tesi che l’ufficiale ha continuato a ribadire anche di fronte alle immagini dell’autopsia. Un esame che, effettuato a vent’anni di distanza dai fatti, aveva rivelato nuove lesioni compatibili con percosse. «Io non sono un ufficiale medico», ha aggiunto Perelle guardando le foto del cadavere. Diversi militari avevano parlato di lui riferendo che non si sarebbe opposto ad atti di nonnismo e prevaricazione che avvenivano in caserma ma che anzi, in alcune circostanze, li avrebbe perfino istigati. Dopo avere risposto alle domande del pubblico ministero, quando si è alzato l’avvocato della parte civile Ivan Albo – che, insieme alla collega Alessandra Furnari, assiste i familiari di Scieri – Perelli ha chiesto alla presidente se avrebbe dovuto rispondere per forza anche a lui.
In merito a molte circostante, Perelli ha riferito di non ricordare, adducendo anche una serie di motivi di salute – ma di Zabara e Panella si ricorda. Di quest’ultimo ha anche voluto sottolineare che «faceva bene il suo lavoro». A fare il nome di Perelli durante la scorsa udienza era stato Andrea Catarcia. Il militare che la notte del 22 luglio del 1999 (poco meno di un mese prima dell’omicidio di Scieri) all’interno della caserma era stato vittima di violenti atti di nonnismo. «Tre anziani mi costrinsero a fare i pompaggi (le flessioni, ndr) e mi colpirono con calci e pugni». Con il corpo pieno di lividi, va dal medico curante e racconta quanto gli è accaduto. Il dottore denuncia e poi pure lo stesso Catarcia va dai carabinieri. I nomi di chi lo ha picchiato non li fa, perché in quella compagnia era appena arrivato e non li conosceva, ma dice che sarebbe stato in grado di riconoscerli se li avesse visti. La vittima, però, non è mai stata ascoltata in caserma e un riconoscimento non è stato mai fatto anche se un militare è stato denunciato.
I due imputati – Panella e Zabara – per questa vicenda furono sanzionati per non avere riferito ai vertici quanto accaduto. In un primo momento, tra l’altro, Panella avrebbe riferito di non trovarsi in caserma quella sera. Una dichiarazione che si sarebbe poi rivelata falsa quando sono spuntate delle fotografie di quella sera che ritraggono anche lui. È il 16 agosto quando Catarcia torna in caserma. Ed è stato lui stesso a raccontare a processo che per tutta la giornata è stato «scortato da un sergente e mai lasciato solo, nemmeno per il pranzo». Quello stesso giorno la notizia del ritrovamento del cadavere di Scieri allarma Catarcia che chiede subito di potere contattare i genitori per rassicurarli del fatto che non si trattava di lui. «Mi sono sentito morire – ha riferito – perché ho pensato che sarebbe potuto accadere anche a me». Poco dopo, Catarcia viene spostato dalla Gamerra e trasferito in un’altra caserma.
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