«Provenzano - racconta il pentito - mi disse che Dell'Utri aveva preso il posto di Lima e che nel '94 era stato lui a far votare Forza Italia. Mi rivelò che la verità sulle stragi la sapevano solo lui, Riina e Andreotti, perché Lima, nel frattempo, era stato ucciso e Ciancimino, probabilmente, pure»
Processo Mori, la mancata cattura di Provenzano Il pentito Lo Verso: «Era protetto da Arma e politici»
Nuova udienza del processo d’Appello nei confronti dell’ex generale dei Ros Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, accusati accusati di favoreggiamento aggravato alla mafia, per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso nel 1995 e assolti in primo grado (nella foto in alto, il giorno della sentenza).
Oggi è stato il giorno della deposizione del pentito Stefano Lo Verso, interrogato dal procuratore generale Roberto Scarpinato e dal pg
Luigi Patronaggio. A presiedere la Corte, Salvatore Di Vitale, neo presidente del Tribunale di Palermo (ha preso il posto di Leonardo Guarnotta, ndr). Lo Verso ha iniziato a collaborare con i magistrati nel febbraio 2011, da «uomo libero», voleva dare un taglio al passato e un futuro migliore alla moglie e ai figli. Così inizia la sua deposizione, nascosto dietro ad un paravento: «Sono stato arrestato il 31 gennaio 2005 nel processo Grande mandamento per 416 bis e scarcerato nel maggio 2009. Mi contestavano di avere veicolato i pizzini e favorito la latitanza di Bernardo Provenzano e averlo assistito. Poi sono stato arrestato per detenzione di arma nel dicembre 2009 e scarcerato nell’aprile 2010. Prima della collaborazione nel 2011, già nel 2005, quando fui arrestato, ero pentito per quello che avevo fatto. Quando fui portato nel carcere di massima sicurezza di Spoleto era un cimitero dei vivi. In quel momento ho iniziato a pensare di tagliare con la mafia. Scrivevo al dottor Prestipino (ex pm di Palermo e oggi Procuratore aggiunto a Roma) per essere sentito, ma la notte pensavo e cambiavo idea e la mattina riprendevo la lettera perché avevo paura che la cosa si venisse a sapere. Non ho collaborato subito perché temevo per i miei familiari».
I pm hanno poi centrato le domande sulla latitanza di Provenzano e sulla cattura: «Non è un caso che Bernardo Provenzano è rimasto libero così a lungo, non sono stato certo io bravo a garantire la sua latitanza…», ha detto il pentito che ha raccontato: «Provenzano recitava il rosario tre volte al giorno e io lo accompagnavo spesso in chiesa per prendere l’acqua benedetta. L’ho ospitato nel gennaio 2004. Mi venne dato incarico di gestire questo signore per tre giorni, gli dovevo dare ospitalità. Onofrio Morreale mi disse di portarlo nella casa al mare di mia suocera sul lungomare di Ficarazzi. Ma quando faceva le riunioni con Morreale le faceva a piano terra a casa mia. Era una persona che si muoveva liberamente».
Poi il pentito si è lasciato andare ad una descrizione del boss sul piano “umano”: «Era meno cattivo degli altri, non voleva i morti, gli omicidi e pensava che le bombe fossero state un errore, ma non si poteva mettere contro tutti. L’ho visto anche piangere per i suoi figli. Quando gli diedi le foto della sua famiglia, si è commosso e disse: “se potessi tornare indietro non farei più questa vita, è un ambiente sporco, in cui non c’è fine”. E poi leggeva sempre il Vangelo, aveva capito che la mafia era una cosa brutta. Tanto è vero che i suoi figli non li ha mai inseriti nella mafia».
Lo Verso rispondendo ad una delle domande del legale di Mori, Basilio Milo, ha precisato poi «Non era stata protetta solo da un potente dell’Arma ma anche da alcuni politici» e da lì il pentito ha raccontato cosa successe in quel periodo: «Provenzano mi disse che Dell’Utri aveva preso il posto di Lima e che nel ’94 era stato lui a far votare Forza Italia. Mi rivelò che la verità sulle stragi la sapevano solo lui, Riina e Andreotti, perché Lima, nel frattempo, era stato ucciso e Ciancimino, probabilmente, pure».
Stando a quanto raccontato da Lo Verso, Provenzano, pur essendo in disaccordo, non poteva mettersi contro Riina che doveva un favore ad Andreotti. Quest’ultimo ne avrebbe garantito la latitanza. Lo Verso ha poi aggiunto di avere saputo dei presunti rapporti societari tra Renato Schifani e il mafioso di Villabate, Antonino Mandalà, e di presunti rapporti con la mafia dell’ex politico di Forza Italia Francesco Musotto e dell’avvocato Salvo Priola.