Premio Francese, riconoscimento a Daphne Caruana Galizia «Additata come strega per quello che raccontava di Malta»

«L’hanno fatta saltare in aria, l’hanno fatta saltare in aria! Lei è morta». Sono le tre del pomeriggio del 16 ottobre 2017: al telefono c’è un ragazzo sgomento che urla queste parole alla zia materna, mentre se ne sta impietrito davanti a quel che resta della Peugeot 108 in Bidnija road e della madre che era appena salita a bordo. Lui è il figlio maggiore della giornalista Daphne Caruana Galizia, uccisa a Malta sette mesi fa da un’autobomba. «Ricordo che i cani stavano abbaiando, mi è venuto da svenire, poi mi è salita l’adrenalina e ho iniziato a correre. Sembrava una zona di guerra, c’erano pezzi di corpo per strada, e quella che all’inizio sembrava una strana macchia di fumo in realtà era un piede. È stato orribile, quel suono del clacson che risuonava. Non c’era niente, solo fiamme».

Le sue parole sono state trasmesse questa mattina durante la conclusione della XXI edizione del premio Francese, in un’affollatissima e attonita aula magna del liceo classico Vittorio Emanuele II. Il suo racconto, doloroso quanto necessario, è stato raccolto e immortalato nella prima puntata – delle cinque totali – che costituiscono il cosiddetto Daphne Project, iniziativa nata dall’associazione no-profit francese Forbidden stories: un consorzio spontaneo di oltre quaranta giornalisti di ben 15 paesi diversi che si sono uniti per raccontare la storia della collega e soprattutto per continuarne il lavoro, partendo lì da dove era stato interrotto col suo brutale omicidio. Un sacrificio, il suo, che le vale oggi anche l’importante riconoscimento palermitano dedicato al cronista ucciso dalla mafia nel ’79, Mario Francese, e al figlio Giuseppe, che strenuamente lottò per scoprire la verità di quella morte. A ricevere la targa, nel suo nome, è la sorella Corinne Vella, volata a Palermo per l’occasione.

«È stato molto difficile essere sorella di una donna come Daphne. Sapevamo del suo lavoro, dei rischi che correva, soprattutto nei mesi che hanno preceduto la sua morte – esordisce Corinne -. C’è voluto il sacrificio di mia sorella perché molta gente a Malta capisse. Prima non era così, lei non era capita e per trent’anni è stata definita una strega che dipingeva Malta come una terra ferma al pre-illuminismo, un fatto grave per la nazione». E, incalzata dalle domande dei giornalisti palermitani, Corinne racconta del clima di paura condiviso da tutta la famiglia per le sorti a rischio di Daphne. «Ogni giorno temevamo che potesse accaderle qualcosa di brutto. E alla fine quel giorno è arrivato davvero».

Ma adesso chi raccoglierà adesso la sua eredità professionale e civile nell’isola? La sua morte è servita a cambiare la situazione? «I colleghi stanno già facendo molto, ma ancora di più dipenderà dalla gente maltese, da quanto vorrà capire adesso e da quanto sarà disposta a collaborare – spiega Corinne -. A sette mesi dalla sua morte aspettiamo la visita del commissario europeo alla giustizia lì a Malta, per capirne di più», rivela tradendo un certo sconforto. Il Daphne Project, però, potrebbe dare un contributo prezioso, grazie allo sforzo messo spontaneamente in campo dalle testate più note del mondo, dal New York Times al Guardian a La Repubblica, insieme per riprendere i fili spezzati dell’inchiesta condotta da Daphne.

«Questo progetto è anzitutto una straordinaria esperienza di lavoro collettivo e insieme civile – commenta il giornalista Carlo Bonini, anche lui intervenuto a Palermo -. L’idea era quella di creare un luogo, anche se virtuale, dove poter raccogliere il messaggio di Daphne e portarlo avanti. Il giornalismo, quando si rende conto della funzione che svolge, funziona alla stessa maniera a tutte le latitudini, a prescindere da lingua, strumenti e costumi. Il senso di questa operazione è non solo quello di far pubblicare le notizie che a lei non hanno dato il tempo di pubblicare o che si pensava, uccidendola, che non potessero più circolare, ma anche quello di restituire quel senso di comunità che le era stato tolto negli ultimi mesi di vita e lavoro. Era stata infatti additata come una strega, una donna divisiva che rovinava la reputazione del proprio Paese all’estero».

È forte e sentito anche l’intervento finale del presidente dell’Odg Sicilia, Giulio Francese, che come Corinne Vella ha conosciuto sulla propria pelle il dolore di una perdita del genere. «Il silenzio uccide come il piombo, è oggi importante questo impegno internazionale. In Sicilia non ci sono mai state reazioni di popolo così dopo l’uccisione dei suoi giornalisti, si pensava solo che se l’erano andata a cercare – commenta -. Se un giornalista scrive per la gente, per fare capire, fornendo gli strumenti necessari, il mondo che ci circonda, non si capisce questa indifferenza della gente in Sicilia», è la conclusione amara


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