La nave Paolo Veronese con a bordo 80 migranti, tra i quali 24 bambini, è arrivata ieri sera alle 20.30 a Porto Empedocle, dopo le dodici ore di viaggio che separano la Sicilia dall’isola di Lampedusa. Ad attenderli sulla banchina del porto c’erano gli agenti della questura di Agrigento e i pullman per il trasferimento nelle varie strutture di accoglienza dell’Isola. I migranti erano stati tratti in salvo al largo delle coste della Libia dalle imbarcazioni della marina militare e fino a ieri mattina sono rimasti nel centro di identificazione di contrada Imbriacola, sulla più grande delle Pelagie.
I trasferimenti vengono effettuati più o meno ogni settimana e la routine è sempre la stessa. I maggiorenni richiedenti asilo politico vengono smistati tra i Cara e gli Sprar, mentre i minorenni vengono affidati alle comunità alloggio fino al raggiungimento della maggiore età che li autorizza a chiedere il permesso di soggiorno. Le storie dei migranti arrivati ieri sono tutte diverse. Molte le donne sbarcate, quasi tutte di origine somala, che sui pullman che li accompagneranno in comunità si lasciano andare in tristi racconti, ricordando il tragitto dalla Somalia alla Libia a piedi e il prezzo da pagare agli scafisti. Molte di loro arrivano incinte, vittime di stupri all’interno degli hub, così li chiamano in un inglese stentato, dove erano tenute in attesa di mettersi in mare nella speranza di arrivare in Europa.
Una donna racconta le dinamiche che caratterizzano la prima parte della traversata, con gli scafisti che abbandonano l’imbarcazione. «Ci fanno salire sulle barche, ci accompagnano al largo e prima di ritornare indietro con un’altra nave – spiega – ci lasciano un telefono satellitare o un cartone di fuochi pirotecnici con i quali possiamo allertare le autorità europee».
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