Pigneto: un caso linguistico

E’ tornato a casa inneggiato come una pop star Dario Chianelli, il “capo” della spedizione punitiva del Pigneto. Anzi, non proprio capo perché il cinquantenne romano ha dichiarato a Repubblica e ai magistrati di non conoscere gli altri quattordici con i caschi e i bastoni che spontaneamente lo hanno spalleggiato nel “raid”, e che non aveva chiesto aiuto a nessuno. Chianelli voleva vendicare lo scippo subito dalla ex moglie, gli altri 14 lo sgarbo subito dallo spaccio e dal baccano che c’è nel quartiere da quando è diventato luogo di ritrovo. Da quando s’è riscoperto vivo dopo anni di anonimato.

 

Dunque Chianelli, con tanto di Che tatuato s’un braccio non è certo un fascista. E non lo sono neanche i suoi “involontari” compagni di aggressione, tra i quali addirittura un colored “che parla e magna romano”. E allora forse quello del Pigneto, più che essere un caso politico (hanno dovuto fare dietrofront Rifondazione, Veltroni, i centri sociali, la stampa) è un caso strettamente linguistico. Sì, proprio così linguistico, perché sembra, alla luce dei nuovi sviluppi, che la ripassata di via Ascoli Piceno non sia mai avvenuta perché non bardata di svastiche. Sembra che i negozi spaccati siano stati una inevitabile reazione popolare. Una specie di Resistenza di quartiere.

 

Ma quale aggettivo più appropriato di “fascista” può essere usato per definire un branco che fa irruzione in strada, alle cinque del pomeriggio, per rompere vetrine e mettere terrore alla gente? Non è fascista (anche se con il tatuaggio di Guevara al braccio) chi decide di far da sé per vendicare uno sgarbo subito? Dev’essere per forza condita di crani rasati, sciarpe con le svastiche e tatuaggi inneggianti, un’aggressione, per essere definita “fascista”?

 

Domande legittime se si pensa che quel raid stia giorno dopo giorno ottenendo quasi una specie di legittimazione dall’opinione pubblica trasformando il Pigneto in un quartieraccio sotto scacco dei bengalesi e ghetto off limits. “Ernesto”, il quarantenne a capo della squadra, è stato accolto a casa come un reduce di guerra, un campione olimpionico, un “amico” di Maria De Filippi. E allora non sarà “fascista” probabilmente, ma solo per un’inezia linguistica.

Riccardo Marra

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