«Dal 1971 al 2015 Catania ha perso oltre 81mila cittadini. Nonostante ci siano in città tutte queste persone in meno si continua a pensare di costruire. Nel frattempo abbiamo fatto Librino, le aree popolari di San Giorgio, i piani di zona di Trappeto sud e San Giovanni Galermo. Alla luce di questo, abbiamo bisogno di un nuovo piano regolatore generale? E, se sì, abbiamo bisogno che siano previste nuove costruzioni?». Due domande e un lungo elenco di risposte. A fornirle, nella sala consiliare di Palazzo degli elefanti, ingegneri e architetti invitati dal vicepresidente del consiglio comunale Sebastiano Arcidiacono e da nove consiglieri, per lo più presidenti e vicepresidenti di commissioni. «A ogni nuova consiliatura si parla di fare il nuovo prg – interviene Rosario Gelsomino, della commissione Urbanistica – Intanto siamo ancora fermi. E sappiamo tutti che l’economia di una città viene trascinata dall’edilizia».
Secondo i dati raccolti da Arcidiacono, dal 2011 a oggi in media il Comune di Catania ha bandito gare d’appalto per quasi nove milioni di euro l’anno. Con un picco verso l’alto che supera i 17 milioni nel 2011, e uno verso il basso che scende sotto gli 800mila euro nel 2014. «La costruzione del futuro passa dalla programmazione – sostiene il presidente della commissione Lavori pubblici Niccolò Notarbartolo – In tema di urbanistica il consiglio comunale non governa più alcun processo. Siamo in balìa delle varianti e agiamo per lo più su impulso del Tar». Cosa che risulta evidente dagli ordini del giorno dei lavori del senato cittadino. «Quando presentiamo un progetto o cominciamo a pensare a qualcosa da fare la risposta degli uffici è che non si può fare perché quello cozza con il piano regolatore vigente. Ma l’impossibilità di fare cose utili mina la qualità della vita dei cittadini».
Il piano regolatore del Comune di Catania, vale a dire lo strumento urbanistico che regola strade e costruzioni, risale al 1964. E da allora non è mai stato cambiato. È attorno a questo punto che ruota la questione, anche quella della cosiddetta Variante centro storico. Lo strumento scelto dalla giunta guidata da Enzo Bianco per riqualificare gli edifici del cuore della città senza dover riprogettare l’intera urbanistica catanese. Che, con l’avvento della città metropolitana, potrebbe essere un orizzonte geografico troppo piccolo per un prg. A precedere la Variante è arrivato uno «studio di dettaglio delle tipologie edilizie», presentato dall’assessore Salvo Di Salvo, assieme al primo cittadino, appena la scorsa settimana. «Non si può pensare di riqualificare il centro storico a partire da interventi come questo», sostiene Michele Cristaudo di Federarchitetti Catania. «Se anche si demolissero e ricostruissero i palazzi – continua – perché mai un imprenditore dovrebbe venire a investire su un centro che non è più neanche un cadavere, ma è ormai una mummia?».
«La questione non è quale strumento metto in campo, se un piano regolatore o una variante – arringa l’architetto Luigi Longhitano – Il problema è: quale idea abbiamo di questa città? Io non ne vedo una. Così come non vedo un’idea di futuro che integri Catania città con la sua area metropolitana». E non solo: «Nello studio di dettaglio si dice che il 70 per cento degli immobili non possono essere abbattuti. Ma abbiamo pensato alla sostenibilità sismica? – domanda Longhitano – Dopo che abbiamo ripulito la facciata di questi palazzi, al primo terremoto li perdiamo o restano in piedi? Qualcuno se l’è chiesto?». La risposta arriva da Giuseppe Scannella, presidente dell’Ordine degli architetti etnei: «La scelta degli uffici comunali è stata conservativa – sostiene – Ma l’atteggiamento del “Non si tocca nulla” ci condanna a rimanere fermi. È come se in questa città credessimo che lo sviluppo passa dall’immobilismo, ma chi ferma l’evoluzione ferma la storia».
E se, per la maggior parte dei professionisti intervenuti, un nuovo piano regolatore generale s’ha da fare ma senza nuova cubatura, non si registra la stessa unità d’intenti sulla necessità di realizzarlo comunale o metropolitano. Un punto che, però, è lontano dall’essere preso in esame se pure lo studio di dettaglio deve ancora arrivare al vaglio del consiglio comunale. «Io lavoro con le pubbliche amministrazioni – sostiene Alessandro Amaro, architetto del Genio civile di Catania – Mi occupo di sostenibilità antisismica e ho solo una richiesta: non riduciamo Catania come L’Aquila per miopia. Quella che stiamo tentando di tutelare è un’architettura nuova che scopiazza quella antica. Qualche giorno fa le opere di Le Corbusier sono state dichiarate patrimonio dell’umanità e noi stiamo ancora dietro a nuove facciate di cemento che vogliono somigliare a quelle del palazzo che c’è accanto. Perché a Catania non si può pensare a un’architettura contemporanea?».
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