Petizione per orafo in carcere dopo avere ucciso rapinatori La moglie chiede la grazia a Mattarella. «Difesa legittima»

«Guido ha difeso me, la sua vita, quella di un cliente e la nostra attività commerciale. Ed è per questo che ritengo che non possa pagare per la malvagità dei suoi assalitori». Sono le parole scelte da Maria Angela Distefano per chiedere la scarcerazione del marito Guido Gianni. L’uomo, di professione orafo, si trova in carcere dal 28 maggio, perché deve scontare una condanna definitiva a 12 anni per duplice omicidio. I fatti in questione risalgono al 18 febbraio del 2008. Giorno in cui una banda di rapinatori assaltò l’attività commerciale dell’uomo a Nicolosi, nel Catanese. Momenti concitati che costarono la vita a Davide Laudani e Sebastiano Catania. Il primo morì sul colpo mentre il secondo rapinatore perse la vita poco prima dell’arrivo al Pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro di Catania. Durante l’assalto rimase ferito anche il terzo componente della banda: Fabio Pappalardo. Quest’ultimo rimediò una frattura a tibia e perone dopo essere stato raggiunto da un proiettile sparato dal commerciante

«Guido è un marito e padre modello, dedito alla famiglia e ligio al dovere – continua la moglie – Non merita di stare in carcere, quel luogo non gli appartiene. Mio marito è un artista a cui piace creare, non distruggere». La petizione, indirizzata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è stata creata tre giorni fa sulla piattaforma online Change.org e ha già raccolto quasi 700 sottoscrizioni. Tra coloro che manifestarono la propria solidarietà a Gianni, almeno dopo la condanna a 13 anni nel processo di primo grado celebrato a Catania, ci fu anche il leader della Lega Matteo Salvini. Dopo quella condanna, arrivata l’11 dicembre del 2019Gianni raccontò ai microfoni di MeridioNews di non avere intenzione di fare ricorso in appello, preferendo andare dietro le sbarre. Tuttavia annunciò anche di volere assecondare la volontà della famiglia con il processo di secondo grado. «Sono molto arrabbiata – disse la moglie dell’uomo uscita dall’aula Serafino Famà del tribunale – Questa non è giustizia ma un accanimento nei nostri confronti dall’inizio alla fine. Hanno rovinato una persona onesta, voluta bene e stimata da tutti». 

«La difesa è sempre legittima – continua Distefano nella petizione – Chiedo che il presidente della Repubblica gli conceda la grazia per consentirgli di tornare subito alla sua famiglia». La donna ripercorre anche alcuni attimi vissuti nel 2008. I rapinatori, come emerso durante le indagini e le udienze del processo, ebbero il primo contatto con la moglie dell’orafo. Il tutto mentre all’interno c’era anche un cliente. Gianni, invece, si trovava in una stanza adiacente all’area espositiva dei preziosi. Una sorta di laboratorio la cui porta di servizio poteva essere aperta soltanto dall’esterno. Accortosi dell’irruzione il commerciante sparò dei colpi d’avvertimento in aria con una pistola regolarmente detenuta e registrata a nome della moglie. La donna venne malmenata ritrovandosi un’arma, poi rivelatasi giocattolo, puntata contro. I malviventi aprirono la porta blindata del laboratorio e l’assalto finì nel sangue con l’uccisione di Laudani e Catania. 


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