L’ultimo è stato fatto ieri notte ad Acitrezza. Quasi ottanta chili, di cui oltre la metà composta da neonato, che senza l’intervento della guardia di finanza sarebbe finito per alimentare il mercato nero del pesce. I sequestri nel settore ittico continuano a vedere la Sicilia protagonista tra le regioni italiane. Attorno al pesce di contrabbando si muove un’intera filiera che va da chi va in mare, a bordo di barche più o meno professionali o si immerge con le bombole in spalla, a chi lo acquista a prezzi concorrenziali per poi rivenderlo in bancarelle approntate ai bordi delle strade o, quando va bene, nei mercati cittadini confondendosi con i rivenditori autorizzati. L’ultimo anello della filiera sono le tavole di chi, esclusivamente interessato a mettere nel piatto prodotti freschi, non si pone domande sulla provenienza del pesce. Compresi molti ristoranti. Né tantomeno – come nel caso del neonato – a essere mangiato è un prodotto assolutamente vietato durante l’intero corso dell’anno. A meno di non acquistare il bianchetto importato dagli oceani, materia prima che difficilmente nobilita la ricetta delle tanto tradizionali quanto da anni proibite polpette.
A fotografare la situazione tutt’altro che rosea è l’ultimo rapporto Mare Monstrum di Legambiente. Lo studio passa in rassegna tutte le minacce rivolte al mare e alle coste italiane. Dall’inquinamento all’abusivismo edilizio, fino appunto alla pesca illegale. Fra i tre quest’ultimo è probabilmente quello meno percepito dal sentire comune: rispetto alle case costruite a strapiombo sul mare o alle scie di rifiuti che ricordano quanto la Sicilia sia indietro in materia di depurazione, accorgersi della povertà di certi fondali non è un’esperienza alla portata di tutti. «Eppure abbiamo attorno a noi situazioni gravissime, i fondali del Catanese ne sono un esempio – commenta il comandante della sezione navale della guardia di finanza etnea Giovanni Romeo a MeridioNews -. Ad Acitrezza, poi, ci troviamo con un’area marina protetta i cui fondali sono praticamente deserti a causa della pesca di frodo».
Per quanto la principale inchiesta della magistratura nel 2021 riguardi la Campania, la Sicilia resta la regione con più illeciti accertati: il 22 per cento di quelli registrati dalle forze dell’ordine nel 2020. Nel 2020 – anno in cui a livello nazionale i numeri riguardanti le persone denunciate sono rimasti sostanzialmente inalterati mentre sono cresciuti in maniera importante i dati sui sequestri, 3414 rispetto ai 547 del 2019 – in Sicilia sono state segnalate 1140 infrazioni. Appena inferiore il numero delle persone segnalate alla procura o addirittura arrestate (1138), mentre sono stati 850 i provvedimenti di sequestro effettuati dal personale delle Capitanerie di porto e dalla guardia di finanza. La Sicilia è anche la regione dove sono stati sequestrati più tonni di contrabbando – 163 tonnellate -, ovvero una delle specie più pregiate e al contempo soggette a un rigido, almeno sulla carta, sistema di regolamentazione delle catture. Grazie al sistema delle quote su cui, tuttavia, non sono poche le ombre come documentato dall’inchiesta giornalistica Tonno Nero a cui ha preso parte MeridioNews. L’isola è anche la regione dove è stato sequestrato anche il maggior quantitativo di molluschi, pari a più di 81 tonnellate.
Guardando alla lunghezza delle coste – quasi 1500 chilometri – si può affermare che in Sicilia, nel corso del 2020, le autorità hanno sequestrato oltre 165 chilogrammi di pesce di contrabbando ogni mille metri di litorale. Un dato che sostanzialmente equivale a quasi un illecito per ogni chilometro. «È sempre più evidente come i moltissimi atti internazionali e comunitari che affrontano il tema della pesca parlando di sovrasfuttamento degli stock ittici, di catture accessorie, di quote di pesca e di pesca illegale, utilizzando termini impersonali o meri auspici – si legge nel rapporto di Legambiente – risultino inadeguati rispetto alle crescenti minacce alla sopravvivenza di molte specie di pesci e delle altre specie marine». A riguardo l’associazione sottolinea come siano tante le specie a rischio. Stando ai dati in possesso dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Uicn), in pericolo critico ci sono anguille, ombrine bocca d’oro e cernie brune. Della categoria pericolo fanno parte il tonno rosso, il rombo chiodato e il palombo. Seguono come specie vulnerabili cernia bianca, cernia dorata, cernia di fondale, corvina, sgombro, merluzzo, dentice e ombrina. Mentre tra i pesci quasi minacciati compaiono pesce spada, spigola, passera e ricciola di fondale.
«Chi non ha mangiato
una di queste specie, senza sapere
che quella preparata nel piatto fosse
una specie a rischio?
– scrive Legambiente nelle conclusioni del rapporto Mare Monstrum – Non è francamente comprensibile
da chiunque abbia davvero a cuore il
mare, i suoi abitanti e chi ne trae sostentamento a quale miope obiettivo
politico miri il combinato disposto di
avere dati insufficienti e stime inadeguate sul pescato e, nel contempo,
autorizzare quote di pesca a specie minacciate, vedendo, di anno in
anno, consolidare i dati di gravità del
livello di minaccia delle medesime
specie, senza agire».
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